In arrivo su La Voce di Manduria una nuova rubrica dal titolo “Con la macchina del tempo in giro per Manduria” . Ogni settimana verranno pubblicate foto d’epoca che raffigurano Manduria e zone limitrofe confrontandole con le stesse inquadrature scattate oggi e con stupore e talvolta anche con un pizzico di amarezza scopriremo come siamo cambiati e com’è cambiata la nostra città dalla seconda metà dell’800, quando grazie all’invenzione della macchina fotografica è stato possibile iniziare ad immortalare personaggi, luoghi e avvenimenti ad essi connessi.
A condurre i lettori in questo avvincente viaggio nel tempo sarà la nostra collaboratrice Katja Zaccheo (presidentessa dell’associazione culturale Cerva Regia dedita alla promozione e alla divulgazione della storia), con la preziosa collaborazione del manduriano Gregorio Fragola, geometra di professione, fotoamatore e collezionista di foto, volto noto sul social Facebook per gli emozionanti scatti fotografici che quotidianamente pubblica sul suo profilo. Settimana dopo settimana attraverso le immagini di ieri e di oggi ripercorreremo la storia contemporanea della città Messapica insieme agli usi e ai costumi dei suoi cittadini inoltre sarà possibile creare il primo archivio fotografico storico on line di Manduria fruibile a tutti. Tutto ciò sarà possibile grazie anche allo spirito di condivisione di tutti i lettori che vorranno contribuire inviandoci foto antiche di Manduria, in forma digitale semplicemente scannerizzando le immagini. Se avete quindi delle vecchie foto di Manduria conservate nei cassetti e desiderate renderle pubbliche, non esitate ad inviarcele a questo indirizzo [email protected].
- 1-Il Fonte Pliniano
Benvenuti a bordo della macchina del tempo de La Voce che vi condurrà in un avvincente viaggio nel territorio manduriano attraverso le foto di oggi e di ieri per scoprire insieme quali sono stati i cambiamenti nel corso degli anni. Come prima tappa abbiamo scelto un luogo la cui storia si perde nella notte dei tempi, il più caro e rappresentativo monumento per i manduriani raffigurato persino nello stemma civico della città: il Fonte Pliniano volgarmente chiamato Scegnu . Osservando le foto storiche e confrontandole con quelle attuali è possibile notare come l’atmosfera suggestiva della grotta sia stata compromessa in seguito all’istallazione di passerelle, scale e pannelli metallici durante le opere di riqualificazione e valorizzazione funzionale del parco Archeologico delle Mura Messapiche. Di questo l’architetto Franco Minissi, che ne fu il progettista insieme al giovane architetto Roberto Bozza, ne parla nel libro: “Musei e restauri”. La trasparenza come valore: «la scala di accesso alla grotta fu messa in sicurezza mediante la sovrapposizione di gradini in grigliato keller semplicemente poggiati, mediante appositi “peducci” regolabili, agli antichi scalini in blocchi lapidei e al pavimento roccioso - e aggiunge - è proprio la nitida solidità della moderna struttura a incoraggiare la discesa, oggi, mentre ci si lascia alle spalle il sole e il rumore della civiltà. L’aria umida avvolge il visitatore in un silenzio profondo, spezzato dal solo riecheggiare delle gocce d’acqua nel pozzo citato da Plinio- conclude l’architetto».
Si tratta di una grotta carsica ubicata a nord-est dell'abitato all'interno delle antiche mura messapiche alla quale si accede percorrendo una scalinata scolpita nella roccia, l’ipogeo ha un diametro medio di 12 metri in parte artificiale e un'altezza massima di 10 illuminata da un lucernario scavato nella volta, all’esterno circondato da conci megalitici i quali formano un muretto circolare, alla base del quale vegeta il leggendario albero di mandorlo. All'interno della grotta è presente una vasca circondata da un altro muro circolare fronteggiato da un pozzetto quadrato nel quale ancora oggi scorre l'acqua della stessa sorgente sotterranea narrata dal naturalista Plinio il Vecchio, da cui prende il nome, nella sua opera "Naturalis Historia". Secondo Nevio Degrassi, Sopraintendente alle Antichità della Puglia e del materano, durante la prima campagna di scavo dell’area archeologica del 1955-60, il Fonte Pliniano era considerato come uno <<speco sacro alle ninfe o, comunque, a divinità acquatiche>> usato quindi come molti altri siti del mediterraneo come luogo di culto. Anticamente era molto diffusa l’idea che le acque del Fonte possedessero delle proprietà curative e molti medici ne consigliavano l’uso per le malattie dell’apparato urinario, nei casi di impotenza, di febbri persistenti e anche per il tarantismo. Le sue proprietà benefiche vennero citate anche dal medico manduriano Salvatore Pasanisi nel suo Saggio chimicomedico sull’acqua minerale di Manduria - secondo Angelo Sconosciuto in un articolo pubblicato sulla rivista Alceo Salentino - scriveva che l’acqua del Fonte: «costituiva uno specifico, da somministrare in alternativa alla corteccia di china, nella cura delle febbri intermittenti ostinate recidive, presa per bocca con abbondanti “bevute naturali”, oppure adoperata sotto forma di bagni, quando la stagione lo avesse permesso». Ne è un esempio un disegno fatto ritrarre dall’abate di Saint-Non nella seconda metà del settecento nel quale è ben visibile un malato ritratto su una barella che viene portato a mano per le scale fino alla fonte da due uomini. Il sito rientrava anche nel così detto “Grand Tour” che nel settecento interessava i giovani aristocratici del nord Europa i quali si spingevano nel mezzogiorno di Italia per visitare i luoghi più particolari citati dalla letteratura. Un luogo di tale valore per gli abitanti del tempo, frequentatissimo per l’approvvigionamento quotidiano dell’acqua per uso domestico dei manduriani meta di numerosi forestieri, anche di nazionalità straniera, oggi chiuso al pubblico, in totale stato di abbandono con le pareti ricoperte di erbe infestanti e per di più danneggiato. Il muro circolare del lucernario infatti, appare dall’esterno come un sorriso sdentato, uno dei conci megalitici è stato gettato nella vasca del Fonte durante una delle incursioni vandaliche.
Katja Zaccheo
(foto storiche dagli atti del convegno “Un parco archeologico per la città” e dalla collezione privata di Gregorio Fragola)
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