Giovedì, 12 Dicembre 2024

Alla ricerca del mio Salento nascosto

1743: terremoto e tsunami sul Salento

1743: terremoto e tsunami sul Salento 1743: terremoto e tsunami sul Salento 1743: terremoto e tsunami sul Salento | © n.c.

“Il 20 febbraio 1743 gli abitanti di Melendugno videro tramontare il sole dietro le pietrose campagne delle Serre mentre un’aria color ruggine incombeva sull’abitato. I contadini osservarono a lungo quel cielo malato, carico di tinte infuocate, e subito decisero di far ritorno dai campi sui loro carretti cigolanti lungo i sentieri.Le case assicuravano l’intimità della famiglia. mentre fuori una rabbiosa tramontana frustava le chiome degli ulivi, confuse con il livido del cielo. Verso mezzanotte, di colpo, fu tutto un silenzio: si calmò il vento come per un ordine superiore; le oche nelle corti starnazzavano impaurite e le cagne atterrite afferrarono stretti tra le zampe i cuccioli; le bestie nelle stalle scalpitavano, cercando di liberarsi dalle mangiatoie; i gatti miagolando, scappavano sbandati per le strade deserte. All’improvviso un violento tremolio scosse la terra. Si staccavano calcinacci dai soffitti, gli ammezzati di legno scricchiolavano, ed i bimbi strappati dal sonno scoppiavano in pianti a dirotto, cercando le braccia delle madri. Gli uomini più solerti, agguantata la famiglia, cercavano rifugio nei campi, ma un’altra terribile scossa li fece sdraiare bocconi per terra e chiedere aiuto, rivolti al cielo. Una terza volta un fracasso infernale sembrava volesse inghiottire Melendugno nell’abisso.Qualcuno allora vide una pia donna che, lasciandosi dietro, lungo la strada, briciole di pane benedetto, si dirigeva verso la chiesa per pregare San Niceta, il protettore. Improvvisamente si udì un rumore di zoccoli, quasi un galoppo, sempre più vicino, sulle tracce lasciate dalla donna con le briciole di pane. Nei pressi del sagrato, al buio, si distinse il profilo di un cavaliere che, tirando forte il morso al cavallo scalpitante, sguainò la spada e la posò sul capo della donna, che pregava e piangeva.san niceta del terremoto

Subito dopo, spronato energicamente il destriero, il cavaliere si allontanò nella notte. La buona donna, baciando il cielo e la terra, levò canti di lode al santo patrono Niceta, che aveva salvato il paese dal terremoto. Poi andò a trovare i compaesani fuggiti nelle campagne per narrare loro l’accaduto. Quasi nessuno volle prestare fede alle parole della donna. Si narra però che la poveretta visse per altri tre anni, duranti i quali gli abitanti di Melendugno, puntualmente a mezzanotte tra il 19 e il 20 di febbraio, avrebbero udito il galoppo di un cavallo per le vie del paese. Da quel tempo la gente di Melendugno festeggia San Niceta del Terremoto, in segno di riconoscenza al Santo Protettore per il miracolo con cui aveva salvato il paese dalla catastrofe”.

Questo breve e intenso racconto di Antonio Nahi (tratto da “Il libro degli altri, storie e leggende del Salento magico e misterioso”, Zane Editrice 2010) pregevole narratore melendugnese, trasmette perfettamente l’atmosfera ed il senso di tragedia incombente che attraversò Melendugno, ma in realtà il Salento intero. Fu infatti un evento assolutamente epocale per una terra che ancora oggi è nelle classiche nazionali come quella a più basso rischio sismico. Accadde invece che con epicentro nel Canale d’Otranto si scatenò una scossa del IX grado della Scala Mercalli e che partendo già da Bari ebbe effetti verso sud in tutto il Salento e parte della Grecia. La violenza dell’evento fu tale che il numero dei morti fu in paragone miracolosamente basso, rispetto a quello che sarebbe potuto accadere. Non si hanno dati certi, si parla di un numero dai 180 ai 350 decessi in tutta la Puglia. Tanto che in molte città si gridò al miracolo. A Nardò si festeggia ancora oggi il Santo Patrono, San Gregorio Armeno, proprio il 20 febbraio.

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Il campanile della chiesa di San Domenico ricorda con un epigrafe il miracolo avvenuto, e la sua ricostruzione, avvenuta due anni dopo…

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Ancora oggi gli anziani del paese raccontano che durante quelle scosse, le statue del Patrono e quella della Madonna (posta sulla guglia, e situate ai lati opposti della piazza), quasi si toccavano!

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Nardò fu la città che pagò col numero più alto di vittime, in tutto il Salento. Ma anche altre città pagarono grandi distruzioni, prima fra tutte Francavilla Fontana. Questa è una testimonianza dell’epoca, che viene proprio dai momenti in cui si festeggiava in paese il Carnevale… “in sulle ventritè ore e tre quarti si avvertì un memorabile terremoto. La scossa fu così violenta che le genti dal muoversi delle pareti che barcollavano, tentennavano e sfasciavansi, fuggivano senza saper dove. Fu un orribile spettacolo. Le maschere in giro pel carnevale, prese da superstizioso terrore, si spogliavano delle vesti, scappavano a torme, si nascondevano. La principessa Eleonora Borghese, corse rischio d’essere schiacciata sotto l’arco della porta Roccella. Le case dell’alloggiamento quasi si toccarono con la vicina Chiesa Madrice. In questa molti corsero per riparare, ma a mezzo del cammino incontravano i volti pallidi e paurosi dei preti, i quali fuggivano vedendola screpolata e quasi caduta. Voci di frati preganti, pianti, grida e rumori vaghi e misteriosi e crollamenti di case, scoppiavano nell’aria già abbuiata. Il mattino appresso la scena si rivelò in tutto il suo orrore. Molte case e palazzi non erano più abitabili. Della Chiesa Colleggiata, il cappellone verso le monache era presso che rovinato; niente era rimasto del coro e dell’altare maggiore; in tutta c’erano tali screpolature che parve impossibile qualsiasi riparazione”.

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Anche a Lecce la mancanza di seri danni parve miracoloso, e l’evento è riportato in una tela custodita all’interno della Basilica di Santa Croce, dove manco a dirlo si inneggia al Patrono della città, e alla protezione accordata: Sant’Oronzo. Curiosa l’epigrafe, che sottolinea nel dialetto cittadino dell’epoca, che nonostante la città tremasse, non cadde un solo mattone.

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Sotto, vediamo un’altra tela, custodita nella sagrestia della chiesa di Santa Irene, sempre a Lecce, commissionata da un certo Domenico Mondatore, come si legge nell’iscrizione posta in basso alla classica immagine di Sant’Oronzo che sovrasta la città, e che recita così: “In memoria del gran miracolo che il gran Santo protettore si degnò farci l’anno 1743 liberandoci dal gran terremoto. Per il suo oratorio delle anime del Purgatorio A.D. 1780”. Bella è anche la “visione” della città settecentesca.

Lo storico ottocentesco Cosimo De Giorgi racconta di un graffito che lui ritrovò sulla chiesa del suo paese, a Lizzanello, oggi purtroppo illeggibile, ma che lui trascrisse sui suoi “Bozzetti di viaggio”, e recitava così: “A XX febraro fece terremoto magno a l’anno 1743”.

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Sul muro della chiesa matrice di Sternatia, invece, l’epigrafe di questo tremendo ricordo è rimasta quasi intatta (sotto), anche se per leggerla interamente è più semplice studiarla dal vivo: chi la lasciò, ebbe premura di incidere anche una sorta di “cornice” a questo breve messaggio da quei giorni di paura.

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A Brindisi crollò quasi interamente la cattedrale romanica, ed oggi un’epigrafe ricorda l’evento…

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Anche a Calimera c’è un’iscrizione, all’interno della chiesa dell’Immacolata, che ricorda la distruzione e poi la ricostruzione dopo il cataclisma.

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Fra le cittadine che subirono i danni maggiori oltre Nardò e Francavilla, citiamo Lizzano (dove il terremoto provocò l’inclinazione del Castello e il crollo di una buona parte del centro storico), Maruggio (distruzione del rosone della chiesa madre) e Sava (lesioni del Santuario della Madonna di Pasano). A Mesagne, ogni anno in occasione della ricorrenza dell’evento, parte una processione devozionale dalla chiesa della Madonna del Carmine.

Condivido anche la foto sopra (dell’amico Ioannes Del Sorriso), che mostra la statua della Madonna del Terremoto (siamo a Manduria): fu commissionata all’indomani del terremoto dalla confraternita di San Leonardo e San Sebastiano. I cittadini, per lo scampato pericolo, fecero erigere inoltre, nei pressi del largo Osanna (ora giardino pubblico) una colonna con la statua in pietra dell’Immacolata, e dipingere sulla porta pubblica detta porticella, una affresco in cui era raffigurato il campanile distrutto della chiesa matrice, e tra le macerie la mano protettrice della Vergine Immacolata.

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Il fatidico anno 1743 è rimasto impresso anche in qualche altro luogo, non sappiamo se associato all’evento, ma certo lo si può supporre. Qui sopra siamo nel chiostro dell’ex convento di Sogliano Cavour, oggi sede comunale, e sull’accesso che introduce alla chiesa si vede la data incisa ai due margini superiori del portale.

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Sopra siamo a Castiglione d’Otranto, e anche qui è rimasta un’architrave che curiosamente reca incisa proprio la data di quell’anno: 1743. Non sappiamo se si riferisca a quell’avvenimento. Ma questo ricordo epocale è rimasto praticamente in tutte le città salentine. Una catastrofe che secondo alcuni studiosi scagliò sulla costa otrantina uno tsunami, i cui resti sono i giganteschi massi provenienti dai fondali che si trovano sulla scogliera sotto la Torre di Sant’Emiliano…

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L’incredibile onda arrivò a due riprese, ed infatti a ben guardare, vi sono due linee di massi disposte parallele, a circa un centinaio di metri dalla linea costiera… massi di parecchie tonnellate ciascuno…

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L’unica fonte storica che porta con sé le tracce di questo tsunami si trova a Brindisi, pubblicata anche dal blog di Brundarte: “A dì 20 febbraro 1743, giorno di mercoledì, all’ore ventitré e tre quarti fu in questa città un terribilissimo tremoto, che in tre repliche durò minuti due, e fu così orribilissimo che rovinò tutte l’abitazioni, palazzi, molti caduti, e molti non atti ad esser abitati, ma tutte le case generalmente danneggiate, e risentite molto. Il domo non più atto a farsino i sacrifici e le funzioni divine, tanto che noi capitolari officiamo a Santa Chiara, per poi determinare dove dobbiamo rimeterci; li Riformati, patito il lor dormitorio, dormono in cucina, e refettorio; i Cappuccini cadé la campana, e fece danno a tre loro celle; cascò pure la campana delli Agostiniani; le chiese delle monache patite, ma di ambi i monasterj i dormitori danneggiati, e così nessuna chiesa, o casa rimasta illesa. Un frate zoccolante, paesano, figlio di Giovanni Caravaglio, morì dopo ore per esserli cascato un muro sopra, di una casella, avanti il palazzo di Pascale Blasi alla marina; il novo seminario precipitato dalla facciata, e così pure tre camere del palazzo di monsignor arcivescovo Madalena. È morta pure avanti la Conserva una figliola di tre anni coricata in letto dormendo, che le cascò la casa sopra; e finalmente, è stato così spaventoso, che ritirandosi il mare, faceansi vedere aperture della terra, et il molo di porta Reale diviso in tre parti; noi col clero capitolare il dì seguente andassimo ad officiare a Santa Chiara, et il dì 25 poi siamo andati alla chiesa delle monache degli Angioli, dove stiamo continuando tutti i preti senza eddomada, e colla pontatura. A 26 detto venne qui il signor Mauro Manieri di Lecce, ingegnere, e mastro Pascale… di Martano, muratore, li quali consigliorno a monsignore Madalena che se ne calasse dal suo palazzo, atteso il pericolo che minaccia/va lo smantellare la chiesa cattedrale, come infatti, il dì 28 se ne calò, e andò a dormire in casa del cantore d. Lazaro Bonavoglia, et si è incominciata a smantellar la chiesa cattedrale; a primo marzo si finì di demolire la prima nave, o sia lamia di mezzo del domo, e la sera si ritirò monsignore arcivescovo in sua casa. Oggi, 3 marzo, si è fatta, dal capitolo con molti regolari, processione di penitenza, partendosi il capitolo dagli Angioli dove officiava, e andò al Santissimo Crocefisso di San Domenico. Per strada si cantarono le litanie di tutti i santi, e nel S. Cristo < dei Domenicani > le litanie; e questa mattina, 4 detto, si è fatta processione a San Paolo per la santissima Concezione al di cui altare si è cantata la messa. Questa mattina, 5 marzo, si è cantata dal capitolo la messa a san Giuseppe in San Benedetto, andando in processione per ringraziamento al Signore per liberazione della morte pel flagello del terremoto.” (P. Cagnes e N. Scalese – Cronaca dei Sindaci di Brindisi 1529-1787. Ed. Amici della De Leo – Biblioteca Del Rotary Club di Brindisi). Una testimonianza veramente eccezionale: il dettaglio che descrive il porto di Brindisi con il livello marino notevolmente abbassato la dice lunga. L’assenza di altre fonti riguardo alla catastrofe proveniente dal mare sarebbe causata dalle paludi che interessavano il litorale all’epoca, che lo rendeva praticamente disabitato. A quanto pare lo tsunami pare esserci stato davvero. Ma questa è un'altra storia.

Alessandro Romano

visita anche http://www.salentoacolory.it

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