Una professoressa di lingue viene ingaggiata dal governo americano per riuscire a comunicare con una razza aliena. 12 astronavi si sono appostate in 12 punti differenti del mondo, dagli Stati Uniti alla Cina, dalla Russia alla Gran Bretagna. Questa trama si intreccia con le vicende personali della professoressa. Il regista canadese Villenueve si dedica completamente per la prima volta al genere della fantascienza, dopo averlo accarezzato in Enemy. Già autore di film stilisticamente differenti ma con una coerenza registica forte e ben delineata si rifà a capolavori come 2001 Odissea nello spazio di Kubrick e Incontri ravvicinati del terzo tipo di Spielberg. Ma Arrival è anche la storia di dolore di una madre, analizzata andando avanti ed indietro nel tempo come un continuo sogno senza linearità. In questo il regista canadese attua lo stesso utilizzo dei suoni e delle atmosfere care a Terence Malick. Quello di Villenueve è un film che non delude, benchè sia pieno zeppo di citazioni dei grandi maestri del genere e del cinema in generale attua un punto di vista originale in cui viene lasciato liberamente spazio allo spettatore di perdersi tra i meccanismi della fantascienza e le vicende personali della protagonista, nelle quali è facile immedesimarsi. Unica pecca lo “spiegone” finale in cui viene ricapitolato tutto il film aggiungendo piccoli particolari che potevano essere disseminati in maniera sottile durante il racconto. L'idea che sia il linguaggio invece che la scienza ad essere usato come veicolo per comunicare permette allo spettatore di lasciarsi trasportare più dalle emozioni che dalla logica. In maniera tale che la vera ricerca del significato si concentri sui sentimenti piuttosto che nel cercare di capire punto per punto una trama che da sotto questo aspetto non dà molte risposte. Valutazione 5 trozzelle su 5 Antonio Cofano
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