Il nostro viaggio ha avuto inizio dal luogo più importante e rappresentativo per noi manduriani: il Fonte Pliniano (per chi se lo fosse perso ecco il link dell’articolo precedente: leggi qui. Prima ancora di spostarci altrove con la nostra macchina del tempo, vorrei soffermarmi ad osservare insieme a voi i mutamenti che ha subito nel corso degli anni anche l’ingresso di questo sito archeologico. La prima immagine che ci arriva dal passato grazie a Michele Schiavoni ci mostra un aspetto assai bucolico de lu Scegnu, com’era meglio conosciuto nella lingua volgare e risale ai primi dell’800 (fig.1). E’ quasi irriconoscibile se non fosse per le Mura messapiche che si intravedono sullo sfondo. Come si può notare nell'immagine che ci riporta il tempo, allora esisteva un muro di recinzione quadrato intorno al lucernario della grotta, alto circa due metri con attiguo un lungo abbeveratoio per gli animali e un muretto basso che delimitava la rampa della scalinata che portava all’ipogeo. Osservando attentamente l’immagine non vi è traccia dell’albero di mandorlo, d’altra parte il medico bibliotecario Michele Greco nel libro “Lu Scegnu ritrovato: il Fonte Pliniano in tre conferenze”, edito da Tiemme, scrive: «vi è un mandorlo in verità un poco spelacchiato, che le amministrazioni civiche provvedono a ripiantare ogni certo numero di anni». Evidentemente in quel periodo era appassito e dopo poco ne avranno piantato uno nuovo per mantenere intatta l’immagine dello stemma civico. In questo modo, ancora oggi possiamo vantarci di essere l’unico Comune in possesso di uno “stemma vivo”. «Se Roma ha sì sul Campidoglio una lupa chiusa in gabbia - scrive sempre il Greco - e Lecce nei giardini pubblici una povera lupetta striminzita e malinconica, non ha né l’una né l’altra , né altre città, il simbolo vivo e perenne così splendido e vivo nella luce del sole sullo stesso posto ove esso nacque e naturalmente si formò e perennemente vive».
Data la notorietà che aveva acquisito col tempo grazie anche alla citazione di Plinio il Vecchio nel suo trattato naturalistico “Naturalis historia” che lo aveva fatto conoscere agli aristocratici dei paesi del nord Europa e alle note proprietà terapeutiche dell’acqua che attirava i forestieri dei paesi limitrofi, l’amministrazione comunale in carica alla fine dell’800 decise di recingerlo commissionando un ingresso monumentale. Secondo quanto scrive il rigoroso cultore di storia locale, Greco, «un tecnico del tempo - pare fosse l’ingegnere leccese Gaetano Marschiczek - immaginò un ingresso classico - forse per ricollegarsi a Plinio il Vecchio - e rovinando ed asportando molti blocchi delle Mura vicine, ne fece una porta con architrave e colonne» (fig.2). A distruggere l’architrave della “porta romana” ci pensò la natura e per fortuna fecero in tempo a fotografarlo! «Un violentissimo temporale fece giustizia della falsa porta - scrive il medico umanista - facendo crollare su di esso un multisecolare e altissimo albero di pino riducendola così com’è (fig.3)». E conclude. «L’ingresso è rimasto smozzicato come ora si vede e molti continuano a scrivere di porte romane e di avanzi antichi con scoraggiante ecolalia!». Ad imbruttire la facciata del Fonte nel 1910 fu l’estro del custode che abitava in una stanzetta all’interno del giardino del sito (fig.4). A calce dipinse tre grandi simboli: il “segno del Golgota” o “croce del Golgota”, una montagna stilizzata con sopra una croce, un calice eucaristico e un altro di difficile identificazione. Tutti segni che anticamente erano frequenti sui trulli, sulle pajare sulle facciate delle abitazioni di campagna. Anche questo di questo particolare ne ho parlato in quest’altro articolo del 2016: Misteriosi simboli sul Fonte.
Nel 2014, dei ragazzini, ignorando l’importanza del sito, danneggiarono l’arco del pozzo ubicato sul piazzale esterno (fig5). Per fortuna in breve tempo grazie all’intervento volontario della ditta Tarentini, i blocchi in tufo fatti crollare furono riposizionati e il pozzo riportato all’antico splendore (fig. 6).
Concludo questo viaggio nel tempo a lu Scegnu riportando una curiosità poco nota riguardo ad un progetto ideato dai nostri antenati e mai portato a termine: condurre attraverso un impianto idraulico le acque del Fonte nel centro abitato per installare una fontana. A parlare di questo progetto fu padre Domenico Saracino nel suo manoscritto “Antichità di Manduria” e riportato in seguito dal medico umanista Michele Greco. Il Saracino parlando del campanile della Chiesa Madre scrive: «Al quarto sottano del campanile, alla parte dell’Oriente, vi si scorge scritto: Qui è il piano del Gegno, cioè del Fonte così oggi detto, e ciò perché volendo portare l’acqua di esso nella Piazza maggiore, da quello regolar si debbono».
Per il momento lasciamo il Fonte per raggiungere con la nostra macchina del tempo un altro interessante luogo della nostra città. Allacciatevi le cinture e partiamo verso una nuova avventura!
Katja Zaccheo
Un ringraziamento a Emilio Distratis e Gregorio Fragola per le immagini storiche forniteci.
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