-- A cura di Gianfranco Mele --
Come abbiamo visto in una delle precedenti puntate di questo excursus sul tarantismo locale, lo studioso manduriano Giuseppe Gigli nel 1893 descrive il fenomeno del tarantismo e il relativo rituale,accennando anche ai “balli nell'acqua”:
“Uno dei più barbari balli è quello che taluni fanno nell'acqua. E non solamente nell'acqua si agitano per mozza persona, ma continuamente se ne versano con un catino sul capo e sulle spalle.”
La variante del ballo nell'acqua, si ritrova in varie altre descrizioni che riguardano le forme più antiche del rito, e in moltissime narrazioni specifiche concernenti il tarantismo nella provincia di Taranto.
Questa la descrizione che il ricercatore ottocentesco Giovan Battista Gagliardo offre delle danze delle tarantate presso il podere Malvaseda nei pressi di Taranto:
“Succede al promontorio della Penna il podere Malvaseda nome di un'estinta famiglia Tarentina, il quale è innaffiato da' varj canaletti di acqua perenne. Qui nelle belle giornate d'inverno concorrono i Tarentini per mangiarvi il pesce fresco, le ostriche, ed altre conchiglie.
Il vedere in quei giorni tutta questa campagna, la quale è piena di agrumi, e di ogni specie di alberi da frutto, popolata da famiglie sparse qua, e la, tutte intente a preparare il pranzo, e quindi sdrajateper terra divorarselo, ricordano le belle adunanze greche che terminavano colla danza, come finiscono anche le moderne. Dopo il pranzo unisconsi le varie compagnie e ballano al suono della chitarra la pizzica pizzica, ballo che esprime tutta la forza dell'entusiasmo, e di quel clima, che diede occasione ad Orazio di chiamarlo molle.
Concorrevano anche qui una volta le Tarantolate. Credevano quelle maniache, e facevano crederlo anche ai loro amanti, che senza rivoltarsi nell'acqua, ciò che dicevano Spurpurare, non sarebbero guarite. Grazie alla filosofia, alla quale le femmine debbono ora la libertà che prima era loro negata, non vi sono più tarantolate né in Taranto, né nel resto della Provincia. “
Anche il Berkeley, nel suo “Diario di viaggio in Italia” condotto ai primi del '700, descrive tra le altre cose l'abitudine dei tarantati di gettarsi nel mare:
“A Taranto vivono diverse famiglie nobili. Anche qui abbiamo assistito alla danza di un tarantato. [...] Il console ci ha detto che tutti i ragni, ad eccezione di quelli con le zampe più lunghe, se ti mordono, provocano i tipici sintomi, benché non così forti come quelli dei ragni più grandi di campagna. Ha poi aggiunto che la tarantola provoca un forte dolore e un livido che si estende su tutta la zona circostante il morso ed anche oltre. Non credo che fingano, la danza è davvero faticosa. Inoltre, ha raccontato che i tarantati siano vittime di una pazzia febbrile e che a volte, conclusa la danza, si gettavano in mare e finivano per annegare se qualcuno non li avesse salvati. “
Il naturalista seicentesco Paolo Boccone scrive a proposito dei tarantati pugliesi:
“Una delle forze, e fatiche incomprensibili, che hanno, e che ci assicura non esservi finzione, si è quella, che per un quarto d'hora, e più di seguito girano intorno, come un Arcolaio, con impeto, e furore; l'altra è di voler ballare in Mare, e però vi si gettano con violenza, e cecità tale, che gli astanti sono obbligati a legare i Pazienti alla poppa della Barca in mezzo alle acque, e li Sonatori di dentro suonano, e in quella forma resta satisfatta l'imaginazione depravata, e corrotta degl'Infermi.”
L' elemento acqua ricorre sempre nel tarantismo e infatti lo si ritrova anche nelle svariate descrizioni degli ambienti in cui si svolgono i rituali domiciliari: spesso gli osservatori notano, tra gli oggetti posti nella stanza della tarantata, la presenza di un catino d'acqua come parte integrante degli accessori rituali (altri sono: specchi, funi, erbe).
Le testimonianze sulla variante del ballo in acqua sono innumerevoli. Lo studioso orietano Quinto Mario Corrado, nel suo De copia latini sermonis (1581) ricorda come i tarantati “ad aquam, ad fontes, ad ramum viridem, ad umbras, ad amaena omnia rapiuntur ”
Epifanio Ferdinando nel 1621 riferisce una serie di comportamenti “ curiosi” dei tarantati, fra cui quelli di “giovani donne che si buttano nei pozzi ” e di altri che “si lanciano in mare”.
Anche il medico Giorgio Baglivi parla, nel 1696 (Dissertatio de anatome, morsu et effectibus tarantulae), della presenza dell'acqua nel rituale, e, in questo caso, di fosse scavate all'esterno, nel terreno, nelle quali i “malati” si immergevano.
Il leccese Nicola Caputi, nel suo De tarantulae anatome et morsu (Lecce, 1741, pag. 201) scrive:
“talora apprestano un tino, o una sorta di caldaia molto capace, colma d'acqua […] ovvero fanno sgorgare leggiadre fonticelle di limpida acqua, atte a sollevare lo spirito”.
Una ulteriore testimonianza proviene da Attanasio Kircher che nel suo Magnes sive de arte magnetica (Colonia, 1643) riferisce di conche d'acqua poste nello spazio dove si svolgeva la danza, e del giovamento tratto dalle tarantate nell'immergersi in queste conche; Ludovico Valletta, inoltre, nel suo De Phalangio Apulo parla della presenza di fonti d'acqua nel luogo dove si svolgeva la danza.
Un cenno va fatto anche all'acqua del Fonte Pliniano manduriano, che, sembra di capire dalle parole di un altro medico, il Pasanisi, doveva essere utilizzata, almeno sino al Settecento, per la cura del tarantismo. Il Pasanisi ne accenna, tuttavia, per confutare l'idea che l'acqua del fonte mandurino possa contrastare gli effetti del veleno:
"Può essere preservativo del tarantismo? Se il tarantismo, secondo il pensare di molti moderni, anche leccesi (fra gli autori leccesi è il cavalier Carducci nell' annotazioni sopra il libro intitolato Delizie tarantine), non è effetto del morso velenoso della tarantola, ma un particolare morbo de' pugliesi e del genere dei deliri melancolici, farebbe certamente un grande preservativo. Ma se poi sia effetto del veleno della Tarantola, come altri sostengono, sarebbe inutile fidarsi all'acqua di Manduria".
Janet Ross, nella sua opera The Land of Manfred prince of Tarentum, edita a Londra nel 1889, e frutto di una ricerca compiuta l'anno precedente in Puglia, parla del tarantismo (ne abbiamo offerto ampia descrizione nella seconda parte di questo excursus pubblicata su “la Voce di Manduria”) e si serve, per le relative informazioni e per le visite nel territorio, dell'aiuto dei manduriani Giacomo Lacaita ed Eugenio Arnò. Riferisce, al proposito, di una forma di “tarantismo umido” consistente nell'usanza di ballare presso sorgenti d'acqua, e di inondarsi d'acqua:
Pel “tarantismo umido“, i musicanti vanno a sedere per lo più vicino ad un pozzo, dove la tarantata viene irresistibilmente attratta; e mentre la disgraziata balla, un numero straordinario di parenti e di amici la inondano d’acqua, per cui, diceva Don Eugenio, ”è incredibile la quantità d’acqua benedetta che viene consumata“.
Nel Dioscoride del Mattioli si legge che l'acqua del mare è particolarmente salutifera alle punture velenose di ragni e scorpioni, e che, più in generale, i bagni nell'acqua (anche dolce) e l'acqua calda giovano al “paziente”. Altri autori confermano che sin dall'antichità i bagni in acqua sono considerati terapeutici per gli effetti del veleno.
Il rituale dell'acqua risulta perciò antichissimo, e precede, nella cura del tarantismo, quello domiciliare, nel quale tuttavia (con la presenza di catini e bacinelle) si conservano residui e richiami al più antico rito: ma su questi aspetti mi soffermerò con più dettagli e documentazione in scritti di prossima pubblicazione.
A cura di Gianfranco Mele
Leggi le puntate precedenti - Parte prima - Parte seconda
BIBLIOGRAFIA
Giuseppe Gigli, Il ballo della tarantola. In “Superstizioni, pregiudizi, credenze e fiabe popolari in Terra d'Otranto” Firenze 1893
Giovanni Battista Gagliardo, Descrizione topografica di Taranto,Napoli, 1811
GEORGE BERKELEY, Diario di viaggio in Italia (1717 – 1718), trad. it. a cura di Nicola Nesta, Ed. Digitali CISVA 2010
Paolo Boccone, Intorno la Tarantola della Puglia, in: Museo di Fisica e di Esperienze variato, e decorato di Osservazioni Naturali, Note Medicinali e Ragionamenti secondo i Princìpi de' Moderni, Venezia, 1697
Quinto Mario Corrado, De copia latini sermonis, 1581
Ernesto De Martino, La Terra del Rimorso, Il saggiatore, Milano, 1961
Epifanio Ferdinando, Centum historiae, Venezia, 1621
Arturo Viglione, Il Tarantismo, Pacini ed., 2012
Nicola Caputi, De tarantulae anatome et morsu,Lecce, 1741
Attanasio Kircher, Magnes sive de arte magnetica, Colonia, 1643
Ludovico Valletta, De phalangio apulo, Napoli, 1706
Salvatore Pasanisi, Saggio chimico – medico sull'acqua minerale di Manduria, Napoli, Stamperia Nicola Russo, 1790
Janet Ross,The Land of Manfred prince of Tarentum,Londra, 1889
Pietro Andrea Mattioli, I Discorsi di Pietro Andrea Mattioli nei Sei Libri di Pedacio Dioscoride Anarzabeo nella Materia medicinale, Venezia, 1573
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