
La Cassazione ha anato con rinvio la sentenza di condanna, relativamente solo ai futili motivi, di Cosimo D’Aggiano, 47enne savese, per l’omicidio dell’ingegnere tarantino, Cataldo Pignatale, ucciso a colpi di taglierino a luglio del 2014. D’Aggiano che è difeso dall’avvocato Fabio Falco, era stato condannato in primo grado all’ergastolo e poi a trent’anni di reclusione dalla Corte d’appello che aveva fatto cadere l’aggravante del concorso fra i reati di sequestro di persona e di omicidio per futili motivi. Reato, quest’ultimo, cassato dalla suprema corte che ha rimandato gli atti per una nuova discussione alla Corte d’appello di Lecce a cui toccherà riformulare la pena.
Dalle indagini era emerso che D’Aggiano e Pignatale non sia erano mai conosciuti, nè avevano mai avuto contatti di alcun genere, prima di quell’incontro avvenuto a luglio del 2014 nei pressi di piazza Marconi a Taranto, in cui D’Aggiano, sotto «l’effetto di sostanze stupefacenti, assunte dieci minuti prima», cercava disperatamente un passaggio per raggiungere l’abitato di Sava.
Il savese che vagava in quella zona della città a ridosso dell’ospedale Santissima Annunziata, approfittò del fatto che l’ingegnere tarantino, che in precedenza aveva lasciato la fidanzata nella sua abitazione di Lido Silvana, fosse arrivato in quel preciso momento nella zona per parcheggiare la sua auto. Fu allora che D’Aggiano si infilò nell’auto, minacciando la sconosciuta vittima con un cutter affilato. «Sono entrato da dietro. L’ho bloccato e mi sono fatto accompagnare all’Auchan», aveva raccontato l’imputato nel corso dell’interrogatorio reso al pm dottor Remo Epifani il 12 luglio del 2014.
In realtà, quel tragitto all’Auchan fu solo passeggero, dal momento che il centro commerciale era ormai chiuso. «A quel punto», aveva aggiunto D’Aggiano, «ci siamo diretti verso San Donato. E lungo la strada che conduce a Faggiano abbiamo girato la macchina in una stradina di campagna».
Nella stessa stradina, purtroppo, in cui il povero Cataldo troverà la morte.
Come e perchè, nelle more del tragitto, abbia ripetutamente ferito la vittima con almeno venti colpi, D’Aggiano non era mai stato in grado di spiegarlo. Se non sostenendo la fittizia legittimità della sua reazione alla reazione dell’ingegnere, che il giudice dell’udienza preliminare aveva giustamente considerato «naturale e legittima», viste le condizioni in cui il professionista si era improvvisamente ritrovato «e sequestrato».
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