
La Corte di Cassazione ha definitivamente assolto il manduriano Antonio Baldari, proprietario di una cava di inerti in località Borraco, dall’accusa di omicidio colposo. L’imprenditore che può quindi tirare un sospiro di sollievo, era stato assolto in primo grado dal Tribunale di Taranto e condannato dalla Corte d’appello che aveva accolto l’opposizione presentata dal pubblico ministero. Secondo i giudici supremi che hanno anato senza rinvio la sentenza impugnata «perché il fatto non sussiste», Baldari non avrebbe omesso le misure antinfortunistiche che la pubblica accusa gli aveva contestato a fondamento dell’imputazione di omicidio colposo.
Si chiude così la triste vicenda dell’infortunio mortale sul lavoro del 42enne manduriano, Carmelo Stano, che il mattino del 29 marzo del 2010 rimase ucciso da un grosso pezzo di roccia che lo colpì alla testa mentre manovrava un caterpillar all’interno della cava di Borraco. Il macigno che sfondò la cabina della macchina scavatrice investendo in pieno l’operaio, si era staccato da una parete della cava. Una tragica fatalità, sostenne il giudice delle udienze preliminari del tribunale di Taranto che assolse il titolare dell’impresa nonché parente dell’infortunato. Non fu d’accordo il pubblico ministero che presentò opposizione in appello.
I giudici di secondo grado, nel corso del processo, diedero una diversa ricostruzione dei fatti sulla base di una interpretazione di quanto aveva dichiarato un collega della vittima che non era presente al momento dell’incidente ma intervenne subito dopo spostando il caterpillar per facilitare i soccorsi del collega ferito mortalmente. Costui dichiarò di aver trovato la macchina a circa dieci metri di distanza dalla parete di roccia e che il braccio meccanico era sollevato ad un’altezza di circa sei metri. Questo fu sufficiente ai giudici dell’appello per dare per certa la circostanza secondo la quale l’operaio stesse lavorando sulla parete della cava e che il distacco della roccia poteva essere stato provocato dalle sollecitazioni della macchina operatrice, contravvenendo quindi alle regole antinfortunistiche che vietano interventi meccanici sotto parete. La Cassazione sul punto ha deciso diversamente rimproverando l Corte d’appello per avere omesso di riaprire l’istruttoria. «La Corte territoriale, - si legge nella sentenza romana - ritenendo decisive le dichiarazioni di Daniele Andrisano, avrebbe dovuto procedere alla nuova escussione del teste in dibattimento». Secondo i giudici romani, insomma, la corte d’appello di Taranto era andata in contrasto con un recente orientamento della giurisprudenza in base al quale «anche in caso di giudizio abbreviato, l’istruttoria dibattimentale doveva essere rinnovata nell’ipotesi di rivalutazione di prove dichiarate decisive». Non solo. «La Corte territoriale – notano i giudici di Cassazione - non ha in alcun modo confutato detto elemento il quale non consente, di per sé, l’affermazione della colpevolezza del ricorrente al di là di ogni ragionevole dubbio».
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