Venerdì, 22 Novembre 2024

Tarantismo, stregoneria, sessualità e peccato nella Manduria e nel Salento del '700

Il Tarantismo in Manduria e dintorni - Parte 5

Il Tarantismo in Manduria e dintorni - Parte 5 Il Tarantismo in Manduria e dintorni - Parte 5 | © n.c.

A cura di Gianfranco Mele

Nel 1812 due giovani savesi si arruolano nella Grande Armata Napoleonica comandata da Gioacchino Murat e partono, con un contingente di soldati del Regno di Napoli, per la Russia. Si tratta diPasquale Prudenzano (1788-1867) e Daniele Mero (1792-1878). Questi due soldati alla fine della battaglia faranno ritorno in patria ma uno dei due, il Daniele, ferito in guerra, vi ritorna cieco e continua la sua vita facendo il suonatore di violino per le tarantate in Sava e nei dintorni.

Non sappiamo altro della vita e della storia di Daniele come suonatore per le tarantate: l'unica osservazione che possiamo fare in proposito è che siamo in presenza di un clichè tipico della storia dei musicisti delle tarantate, molti dei quali, appunto, erano ciechi: è il caso di Francesco Mazzotta di Novoli, citato dal De Simone e dal De Martino, di “Pascali lu ciecu” di Lizzano che, si racconta, fosse divenuto cieco proprio a causa del morso di un ragno, del violinista tarantino “Ciotola” che nell' 800 era una conosciutissima figura nell'ambito dei musicisti locali per le tarantate, di un altroviolinista cieco del quale racconta la Caggiano in un suo saggio intitolatoLa danza dei tarantolati nei dintorni di Taranto.

Nel tentativo di raccogliere informazioni sul fenomeno del tarantismo in Sava andando a ritroso nel tempo, la storia di Daniele Mero è la più vecchia che abbia potuto trovare. Come noto, Sava viene fugacemente citata poi nella celebre ricerca del De Martino (nel suo testo “la Terra del Rimorso”), che a sua volta riprende alcuni passi di uno scritto del De Simone (1876): ma il De Simone cita Sava solo attraverso le parole dell'intervistato Mazzotta, il violinista cieco novoliano che, con una buona dose di campanilismo, rivendica il suo paese come una sorta di patria dell'arte della musica per le tarantate e asserisce che si è persa “la tradizione dell'arte” a: Melendugno, Sava, Manduria, Martina Franca, San Giorgio di Taranto, Monteparano, Lizzano, Montemesola, Castellaneta, Grottaglie, Francavilla Fontana, Brindisi, dove, secondo lui, i tarantati reagiscono ad un solo motivo locale, e pertanto lui si rifiuta di portarvi la sua musica. In realtà, abbiamo visto citando nelle precedenti puntate di questo excursus i testi del Gigli e del Greco, come il fenomeno rivesta una sua complessità rituale in Manduria e dintorni sino ai primi del '900. Così, le dichiarazioni del Mazzotta, che riferisce che a Sava, Manduria ed altri paesi il rito si è affievolito e i tarantati reagiscono ad un solo motivo,mentre lui intona in Novoli e altri paesi ben “dodici temi, che danno dodici motivi (muedi)”, cozza con quanto riporta Michele Greco a proposito del tarantismo locale,laddove il Greco arriva ad individuare ben 21 temi corrispondenti a “21 specie di tarantole”.

Sia il De Simone che il De Martino prendono per buone le dichiarazioni del Mazzotta, trascurando di indagare questi territori. Il De Martino non si spinge oltre Avetrana nella sua ricerca.

A parte, però, la consistente mole di documentazione che ci previene rispetto alla vicina Manduria da parte del Gigli, del Greco e da parte di Janet Ross, non c'è stato mai nessuno che abbia raccolto informazioni dettagliate nello specifico territorio savese. Ovviamente, per questioni di prossimità geografica (5 km di distanza appena tra le due cittadine) le analisi dei succitati autori valgono in ogni caso,per il territorio di entrambi i paesi. Tuttavia, ho cercato di compiere recentemente un ulteriore sforzo ricostruttivo del fenomeno nel paese di Sava.

Proprio nel testo del De Simone è citato un motivo del leccese che veniva cantato durante il rituale:

“Mariola Antonia! Mariola te lu mare!/Taranta Mariola pizzica le caruse tutte quante !/Pisce frittu e baccalà e recotta cu lu mele, maccaruni de Simulà” (la tarantata risponde, esclamando:) “Ohimme! Mueru! Canta! Canta!”

Rispetto al canto riportato dal De Simone ricordo un motivettoanalogo accennato in Sava dalla generazione dei miei nonni (perdurato quindi, per loro bocca, ormai anziani, fino agli anni '60) del quale le strofe finali (le prime non le ricordo) erano:

“... pesci frittu e baccalà, e ricotta cu lu meli, Ton Pascali cu la mujèri...”

A.B., savese di oltre 60 anni, ricorda una versione identica a quella raccontata dal De Simone, citandomi, anche lui, soltanto uno stralcio:

“..pesci frittu e baccalà, e ricotta cu lu meli, maccarruni ti semula”.

In coda a una ricerca condotta ai tempi dell' università nell'ambito di un seminario di antropologia, e avente come campo di indagine riti e magia nella civiltà contadina, tra la fine degli anni '80 e i principi dei '90 ritornai ad occuparmi di queste tematiche, concentrandomi stavolta sui canti popolari e sul fenomeno del tarantismo. Riuscii a raccogliere poche e fugaci notizie, tra le quali, la più importante, un canto locale caratteristico del rituale terapeutico del tarantismo. La “taranta savese” che raccolsi dalla voce di Giuseppa Calò (classe 1928) aveva alcuni versi in comune con la “taranta di Lizzano” e con la “pizzica taranta di San Marzano”, ma altri differenti, e una melodia differente, ed era quasi identica, nel testo, ad un' altra taranta raccolta in Manduria. Di recente, con il gruppo musicale e di ricerca popolare savese “Milampi & Spuntuni”, la abbiamo riproposta live.

In un recente articolo apparso sulla rivista “Il Delfino e la mezzaluna” edita da Fondazione Terra d'Otranto, mi soffermo sulla descrizione di questo canto, ma anche su una serie di altre annotazioni circa quel poco che ho potuto raccogliere intorno al fenomeno del tarantismo nel territorio specifico di Sava. Tra le varie note, voglio qui riprendere due interviste condotte di recente nei confronti di anziani del paese che hanno ancora memoria, nei ricordidi quando erano bambini, di episodi di tarantismo.

Nel 2017 raccolgodalla voce diun anziano pensionato savese, la descrizione delballo di una tarantata in via Dante a Sava:

“Era il 1948, con mia nonna assistetti ad una tarantolata. Questo avveniva in via Dante. Il nome della donna non lo ricordo. Rimasi meravigliato, tre musicanti che suonavano, e la donna ballava fino a quando non cadde a terra. La presero due uomini e la portarono a letto, dissero che dormiva.

I suonatori mangiavano come affamati. Mia nonna aveva portato il vino siccome erano povera gente e i suonatori ne bevevano tanto”

Chiedo all'intervistato se si ricorda particolari in riferimento all'arredamento della stanza che ospitava la performance della tarantata, come era vestita e come appariva la donna, che genere di arie suonavano i musicanti, con quali strumenti... e qualsiasi altro particolare gli possa tornare alla mente:

“Era estate. Se ricordo bene la coppia non aveva figli, quando si giocava per strada la signora ci gridava di andare via.

La stanza era (con la volta) a stella, della “di vintiquattru parmi”, in giro erano sedute persone che partecipavano insieme ai suonatori a fare un frastuono, al centro la donna che ballava con movimenti e un fazzoletto in mano. I capelli... teneva “lu tuppu” come mia nonna. E il vestito, lungo. La cosa che mi colpì tra gli strumenti era la cupa-cupa, uno strumento musicale che non avevo mai visto prima... mia nonna, mi disse che si chiamava cupa-cupa”.

Mi son ripromesso di approfondire, subito dopo questa intervista, questa storia, ma sinora ho potuto raccogliere niente di più che una lapidaria conferma dell'esistenza della “tarantata di via Dante”, dalla voce di un'altra anziana (87 anni nel 2017) che da bambina abitava in quella via:

“ Abitavo in via Dante con la mia famiglia di origine, e in effetti ricordo di una tarantolata. Me ne ricordo come un sogno... non so se me ne parlò mia madre o se la vidi. Me ne ricordo come un sogno! Non ho mai creduto in queste cose e nemmeno mia madre e mio padre ci credevano, anzi provocavano in me, in noi, un senso di fastidio.”.

Un'altra informazione la ricevo da Cosima M., 84 anni (anche questa intervista è stata raccolta nel 2017): mi parla di “Nunna Teresa”, un'altra tarantata savese. Cosima non ha mai assistito direttamente alle esibizioni di Nunna Teresa, ma glie ne parlavano suo fratello e la sua sorella maggiori, che avevano avuto occasione di assistere diverse volte al rituale inscenato da questa donna.

“Erano gli anni '40. In via San Cosimo c'era Nunna Teresa, che era tarantata. Il marito chiamava il vicinato e invitava tutti ad assistere... la donna ballava... gridava...si buttava sul letto. Mio fratello e mia sorella, andavano, e mi raccontavano...”.

Come noto, il tarantismo è interpretato da diversi autori come un fenomeno di “possessione che induce il/la tarantato/a a comportarsi come l'animale dal quale è stato “morso”.Le tarantate mimerebbero dunque, durante la crisi, il comportamento del ragno, ma anche, a seconda dell'animale-veicolo del morso, dello scorpione o del serpente. Nella storia del tarantismo in provincia di Taranto sono numerosi i casidi tarantismo attribuiti alla “puntura di scorpione”, e, sempre nell'ambito della piccola ricerca apparsa sulla rivista di Fondazione Terra d'Otranto, raccolgo anche su Sava testimonianze della atavica paura nell'ambito della locale civiltà contadina del morso dello scorpione. Un episodio che non racconto in quell'articolo è invece risalente alle mie ricerche degli anni '80, ed è la storia di “Donna Candida” raccontatami da una anziana donna del posto. Avevo temporaneamente accantonato la descrizione di quel racconto, in quanto non sapevo (e non so) inquadrarlo esattamente in un contesto di tarantismo, o per lo meno di un “morso”, in quanto, purtroppo, sono andate distrutte le registrazioni audio che avevo effettuato all'epoca dell'intervista, e avevo tralasciato sia di trascrivere che di prendere appunti scritti in merito a racconti che esulavano dal tema oggetto della mia indagine (che in quel caso si restringeva alle credenze popolari sul malocchio). Le persone intervistate spaziavano su vari argomenti attinenti la magia popolare e io lasciavo fare incuriosito e registravo tutto, ma nel riassumere per costruire le mie schede scremai i contenuti che riguardavano l'oggetto di ricerca dagli altri. Siamo a Sava, nel 1983. Quando andai a intervistareMaria M., “guaritrice” del fascinum, tra le varie cose mi parlò della storia di “Donna Candida”. Mentre mi raccontava questa storia la donna parlava come in uno stato di trance, e fluiva il suo discorso immedesimata nella storia tanto da riuscire a conferirle un grande pathos. Tutto ciò che ricordo del suggestivo racconto di Maria, è che “Donna Candida” si trasformava in “una serpe” strisciando verso l'altare della Chiesa. Era stata morsa, aveva ricevuto una maledizione o un incantesimo, stava pagando il prezzo di suoi peccati ? non riesco a ricordare le pur esaustive spiegazioni che Maria mi forniva nel raccontarmi questa storia, che ad ogni modo riecheggia il mito di Cadmo trasformato da Dioniso in serpente o la leggenda medioevale di Melusina metà donna e metà serpente. L'atteggiamento della donna è simile comunque, permolti versi, a quello delle tarantate e, come noto, il serpente è un animale che si alterna alla figura del ragno, e può sostituirlo, nelle credenze popolari riguardanti il “morso” mitico.

BIBLIOGRAFIA

Gianfranco Mele, Daniele Mero il violinista cieco per le tarantate della Sava di inizi '800, in La Voce di Maruggio, febbraio 2019

Anna Caggiano, La danza dei tarantolati nei dintorni di Taranto, in “ Il folklore italiano: archivio trimestrale per la raccolta e lo studio delle tradizioni popolari”, anno VI, Fasc. I-II, genn. - giu. 1981

Lugi Giuseppe De Simone, Il ballo (la Taranta, la Pizzica-Pizzica, la Tarantella), in “La Rivista Europea” 1876

Ernesto De Martino, La Terra del Rimorso, Il saggiatore, Milano, 1961

Giuseppe Gigli, Il ballo della tarantola. In “Superstizioni, pregiudizi, credenze e fiabe popolari in Terra d'Otranto” Firenze 1893

Michele Greco, Superstizioni medicamenti popolari tarantismo, manoscritto, 1912; ried. a stampa Filo Editore, Manduria 2001, (a cura di R. Contessa)

Janet Ross,The Land of Manfred prince of Tarentum,Londra, 1889

Gianfranco Mele, Echi e aspetti del tarantismo in Sava e nel territorio limitrofo, in: A.A.V.V., Il Delfino e La Mezzaluna, Periodico della Fondazione Terra d'Otranto, n. 7-8, 2019

Gilbert Rouget, Musica e trance, Einaudi, 1986

Antonio Basile, Gioconda miseria. Il tarantismo a Taranto . XVI-XX secolo, Progedit, 2015

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1 commento

  • lorenzo
    ven 22 novembre 2019 04:43 rispondi a lorenzo

    Fantastico. Da insegnare nelle scuole. A quando la storia delle vasche di Burraco? Vasche usate per la lana. Ci sono ancora i resti

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