
Un lodo arbitrale utilizzato come strumento per chiedere, e ottenere, denaro. È l’accusa che grava contro l’avvocato Filippo Condemi, con un passato di candidato sindaco nelle file di Forza Italia, che da ieri è stato posto agli arresti domiciliari con l’accusa di estorsione con l’aggravante della minaccia commessa con armi. Insieme con Condemi risponde del medesimo reato Cataldo Renna, pure con un passato speso nella politica, che avrebbe spalleggiato il professionista tarantino nel pretendere dall’amministratore di una coop il pagamento di una somma di denaro pari a tremila euro, originariamente garantiti da un assegno di pari importo. Per Renna è scattato l’arresto in carcere nella flagranza del reato. Gli arresti si sono concretizzati nell’ambito dell’inchiesta diretta dal pm inquirente Enrico Bruschi, allorchè ci sarebbe stato il passaggio di denaro dalla vittima ai presunti estortori. In quel frangente, sono spuntati gli uomini della guardia di finanza di Taranto, che stavano seguendo il caso sin dalla prima denuncia presentata dall’amministratore della società cooperativa “Indaco Service”, che si occupa dell’assistenza ai migranti. Proprio la “Indaco Service” era al centro di un lodo arbitrale con un socio della coop. Arbitro del lodo era stato nominato l’avvocato Annamaria Condemi, figlia del professionista settantottenne. Questo lodo, secondo l’accusa, sarebbe stato utilizzato dagli indagati per ingiungere alla vittima di consegnare il denaro richiesto, pena l’esito sfavorevole del contenzioso. Peraltro, in una circostanza, Renna avrebbe intimorito il suo interlocutore, mostrandogli una pistola e minacciando di utilizzarla se le cose non fossero andate per il verso giunto. Quanto al lodo arbitrale, è tutta da chiarire la posizione della quarantaquattrenne tarantina, che per il momento è solo indagata a piede libero e che potrebbe essere stata addirittura inconsapevole di quanto avveniva alle sue spalle. Ieri, in ogni caso, prima che il pm desse il via agli arresti in flagranza, le fiamme gialle avevano eseguito un decreto di perquisizione locale e personale nelle abitazioni degli indagati principali e nello studio professionale dell’avvocato Filippo Condemi. Nel mirino della magistratura i telefoni cellulari di tutti i soggetti. Telefoni che erano stati utilizzati, secondo la prospettazioni accusatoria, per lo scambio di messaggi attraverso “WhatsApp”. Uno in particolare, avrebbe dato la conferma delle indicazioni fornite dal denunciante. «Antilope ad avvocato, tutto ok con quell’amico»: questo il messaggio del 28 novembre scorso. Il senso era che la vittima aveva accettato di convertire quell’assegno, consegnatogli nella circostanza, in denaro contante. Nei giorni successivi, l’amministratore della “Indaco” aveva ragguagliato i finanzieri degli ulteriori sviluppi. E ieri era scattato il blitz deciso dal pm Bruschi.
Lino Campicelli dal Quotidiano di Puglia
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