Mercoledì 30 ottobre è stata pubblicata su Disney+ la serie dedicata al delitto di Avetrana, “Qui non è Hollywood”, prodotta dalla casa di distribuzione “Groenlandia” e tratta dal libro “Sarah, la ragazza di Avetrana”, scritto da Carmine Gazzanni e Flavia Piccinni. La narrazione della serie si focalizza sui protagonisti principali della vicenda, uno per episodio: nel primo Sarah (interpretata da Federica Pala), nel secondo Sabrina (Giulia Perulli), nel terzo zio Michele (Paolo De Vita) e nell’ultimo Cosima Serrano, interpretata magistralmente da Vanessa Scalera.
Se della qualità della seria accenneremo più avanti, a tenere banco nei giorni precedenti all’uscita è stata la richiesta del sindaco di Avetrana Antonio Iazzi, che ha presentato d’urgenza un ricorso al tribunale di Taranto in cui chiedeva la sospensione della messa in onda al fine di poter visionare prima la serie in anteprima, per verificare se la narrazione non dipingeva Avetrana e i suoi abitanti come una comunità “rozza, retrograda e omertosa”. Il tribunale di Taranto, attraverso il giudice Antonio Attanasio, ha accolto la richiesta di Iazzi, facendo slittare la serie di 5 giorni (la distribuzione era prevista per il 25 ottobre). Inoltre, è stata rimossa “Avetrana” dal titolo, lasciando soltanto “Qui non è Hollywood”.
Una decisione che lascia perplessi non solo perché ha pochi precedenti, ma che probabilmente getta ancora più ombre sulla città. Il nome della città compare sui cartelli stradali sin dai primissimi episodi, viene nominato nel corso degli episodi più volte e basterebbe guardare la serie con occhio attento per capire che non c’è nessun intento diffamatorio o omertoso nei confronti della comunità avetranese, tra l’altro per lo più assente nella serie per via delle scelte narrative adoperate, peculiari ed efficaci. Aver dedicato ogni episodio al punto di vista specifico di un singolo personaggio coinvolto ha restrinto lo spazio intorno ai protagonisti e ha reso come luogo principale della serie non Avetrana, ma la claustrofobica villetta in via Deledda, luogo dell’omicidio di Sarah. Gli altri luoghi rappresentati, come le scene al mare o al pub di paese, sono tutti funzionali alla narrazione e non spiccano mai rispetto ai protagonisti, che sono il vero motore della serie. Un altro tema affrontato poi è quello della spettacolarizzazione del dolore: nella serie orde di turisti, di giornalisti e di paparazzi in cerca di scoop si fiondano davanti al luogo del delitto, rimanendo lì per settimane intere. Il tempo, forse, ha rimosso dalla nostra mente quanto tutto questo, ormai quasi 15 anni fa, sia successo veramente, rendendo Avetrana il centro mediatico del paese per diverse settimane; ma la serie non sfrutta questo espediente per ritrarre la città in maniera negativa, poiché rimane, appunto, una serie tv: per quanto sia stato fatto un lavoro accurato da parte del regista (Pippo Mezzapesa, di origine pugliese), dei protagonisti e di tutta la produzione, “Qui non è Hollywood” rimane sempre una serie tv, che non ha fatto altro che rielaborare i fatti, romanzandoli e cercando di offrire una riflessione alternativa. A venire criticati non sono gli abitanti di Avetrana, ma l’intero sistema italiano, colpevole di aver lucrato anni fa su questa tragedia che ha dei colpevoli ma che non rappresentano l’intera comunità.
Da anni il cinema e la serie tv sono ambientati nelle città di tutto il mondo, raccontando luci e ombre di queste, ma mai venendo meno alla censura. Penso alla New York dei film di Martin Scorsese o alla Parigi sporca e cattiva raccontata da diversi registi; in Italia i casi emblematici di Romanzo Criminale e Gomorra, rispettivamente ambientate a Roma e Napoli. Nessuna di queste ha mai ricevuto alcuna censura da parte di cittadini o soprattutto sindaci, che, a volte, si preoccupano troppo di difendere l’indifendibile, tralasciando questioni ben più importanti.
Raffaele Montesardo
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