
La vicenda delle discariche di Manduria continua a essere una ferita aperta per il territorio, con conseguenze ambientali e sociali sempre più preoccupanti. Al centro della protesta dei cittadini è oggi la discarica “La Chianca” a cui si aggiungono le preoccupazioni per la vecchia discarica “Li Cicci”, esaurita da oltre vent’anni e mai davvero messa in sicurezza nonostante ingenti spese pubbliche.
Attiva dal 2003, “La Chianca” è stata costretta ad aumentare la propria capacità: da 630.000 metri cubi iniziali, a 1 milione nel 2016, fino ai 1.150.000 metri cubi previsti dall’ultima proroga regionale. Una montagna di rifiuti alta 14 metri, estesa su 110.000 metri quadri. Gli enormi quantitativi, oltre al negativo impatto visivo, destano forti preoccupazioni, soprattutto per i teli che dovrebbero proteggere il sottosuolo. “Essi, progettati per sostenere il peso iniziale, rischiano oggi di non reggere più e di lasciare che il percolato inquinato si disperda nei terreni e nelle falde sottostanti. Inoltre, questa discarica non ha un certificato di agibilità urbanistica valido”. A dichiararlo è Il consigliere comunale Domenico Sammarco di Alleanza Civica Popolare Manduria Migliore – Federcivica – Puglia Popolare Manduria.
Studi effettuati nel 2023 hanno già evidenziato un inquinamento dei pozzi interni ed esterni all’impianto, segnalando ciò come conseguenza delle eventuali lacerazioni dei teli. Una situazione, quindi, che è causa di gravi rischi per l’intero ecosistema. “A tutto ciò – a parere del consigliere Sammarco - si sommano gravi criticità burocratiche e urbanistiche per il fatto che la discarica non risulterebbe avere un certificato di agibilità urbanistica valido e non sono stati completati gli espropri di tutte le particelle catastali, alcune delle quali risultano ancora intestate a privati. Senza contare che la zona è classificata come agricola dal piano regolatore, mentre il PAUR regionale fa riferimento a un PUG comunale ancora in fase di approvazione e quindi non efficace”. Per il consigliere Sammarco ci sarebbero anche dubbi e ombre sulla gestione: la società concessionaria è cambiata nel tempo, passando da un’ATI poi sciolta, fatto che avrebbe potuto giustificare la risoluzione del contratto.
Sul banco degli imputati finisce anche la politica locale. Anni di amministrazioni brevi e incerte hanno paralizzato qualsiasi controllo effettivo, mentre le giunte succedutesi — inclusa quella attuale guidata dal sindaco Gregorio Pecoraro — a parere di Sammarco – “non hanno mai avuto il coraggio di usare i poteri ordinari per fermare, anche solo temporaneamente, l’attività della discarica”. Solo oggi il sindaco Pecoraro lancia un appello all’unità di partiti, movimenti, associazioni e cittadini, ma lo fa dopo aver creato un secondo comitato istituzionale, dividendo di fatto il fronte della protesta. “Fortunatamente nell’ultima seduta del consiglio comunale è passato un emendamento – afferma Sammarco – che impegna il Comune a chiedere ulteriori analisi alla concessionaria dell’impianto all’interno del sito della discarica e a procedere con campionamenti diretti nei pozzi all’esterno per un’area di circonferenza di 1,5 km proprio con l’intento di verificare i possibili valori sopra soglia della falda”. Il consigliere Sammarco conclude che ora la comunità si trova a rincorrere l’ennesimo provvedimento regionale con un ricorso dagli esiti incerti. È tempo di agire, prima che l’ennesimo schiaffo al territorio si trasformi in un danno irreversibile”.
Giancarlo Vincitorio
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