Il 20 luglio 1970 un articolo apparso sul quotidiano nazionale “La Stampa” sconvolse l’Italia intera. Un ragazzo di soli 15 anni, tale Fiore Piccioni, fu investito da una «850» che lo scaraventò sotto le ruote di un pullman che passava da lì in quel momento. Lo shoccante episodio accadde a Torino, in una città troppo caotica per i riflessi del giovane che, approfittando della mancanza del padre che era andato a messa con il fratello maggiore e della madre che invece era «da qualche giorno – informava il giornalista – al paese d’origine, Manduria in provincia di Taranto, con la figlia minore», decise di «inforcare» il motorino regalatogli dai genitori «per raggiungere gli amici in piscina». Arrivato in prossimità di un incrocio, il povero quindicenne non notò una fiat «850» che sbucò alla sua destra senza rispettare il segnale d’arresto, travolgendo il ciclomotore e facendo «ruzzolare sulla corsia opposta» il ragazzino. Proprio in quel momento però passava di lì un pullman di linea. «Il guidatore – spiegava l’autore dell’articolo – sterza bruscamente e inchioda le ruote», salendo sul marciapiede e fermandosi a mezzo metro dal muro di un’abitazione, provocando il panico tra i passeggeri. La disperata manovra – purtroppo – è stata però inutile. «Il corpo di Fiore – annunciava l’articolo – giace senza vita sull’asfalto». Di fronte a quell’orrido spettacolo, il conducente della Fiat che ha causato la morte del giovane reagì in un modo che ha dell’incredibile! «L’operaio (l’autista, ndr) non sembra molto sconvolto dall’incidente che ha causato: si preoccupa soprattutto – raccontava il giornale – di recuperare la ghiera del fanale, staccatasi nell’urto». Completamente opposta fu invece la reazione della moglie, che sedeva accanto all’omicida, la quale «scoppia in un pianto dirotto davanti al cadavere del ragazzo».
Antonio Dinoi
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