Se il prefetto in pensione Vittorio Saladino si sente diffamato da quello che scriviamo, è giusto che ci denunci rivolgendosi alla magistratura che giudicherà. Anche noi abbiamo fatto lo stesso nei suoi confronti, circa due mesi fa, perché ci siamo sentiti offesi e diffamati da alcune cose che il commissario ci ha scritto e per questo attendiamo fiduciosi un giudizio della magistratura (archiviazione o processo) che prima o poi arriverà.
La differenza tra la nostra denuncia e quella del commissario è sostanziale: noi chiediamo, in caso di condanna, che si applichi la pena prevista dal codice, mentre l’ex prefetto fissa subito il “prezzo dell’offesa”. Trentamila euro, appunto. Una cifra spropositata, volgare direi, che serve a spaventare. Un’odiosa tattica che nel nostro ambiente giornalistico è conosciuta come “querela temeraria” (nel caso del commissario Saladino un procedimento di mediazione, ma il senso non cambia). Uno strumento facile facile sempre più utilizzato da chi vuole porre un freno alla libera informazione.
Le querele temerarie vengono utilizzate da chi, lamentando una lesione della propria reputazione e facendo leva sul diritto alla tutela della reputazione stessa, sporge querela (o minaccia di farlo) al solo fine di intimidire o minacciare il giornalista.
Come si riconoscono dalle “normali” querele? Restando sempre nell’ambito giornalistico, una persona che si sente offesa, prima ancora di passare alle carte bollate, chiede subito una smentita o rettifica riservandosi comunque la possibilità di procedere per via giudiziaria (ha tre mesi di tempo per farlo).
Se invece l’intento è di spaventare e mettere il bavaglio all’informazione scomoda, quella per capirci che continua a chiedere conto di come si amministra e di come vengono spese le risorse pubbliche, ad esempio, ecco che si ricorre alle cifre a cinque zeri. Che indubbiamente spaventano, soprattutto le piccole testate come la nostra.
«Tale fenomeno – scrive la collega di Articolo 21, Flavia Marinucci -, ha preso piede proprio in ragione del fatto che il legislatore italiano non ha previsto una vera e propria sanzione per chi, sapendo di non essere nel giusto, abusa dello strumento giuridico della querela al solo scopo di arrecare danni al giornalista. In altri paesi europei, al contrario – prosegue Marinucci -, il legislatore ha previsto, per arginare il fenomeno, il versamento di una cauzione da parte di chi deposita una querela, che servirebbe a risarcire il querelato in caso di assoluzione dello stesso. Tale espediente sarebbe utile anche in Italia per evitare o quanto meno limitare tali abusi e la conseguente compressione del fondamentale diritto di cronaca».
Comunque la si legga, la situazione non ci lascia ovviamente sereni. Non è facile continuare a scrivere ciò che è giusto scrivere pensando a quei trentamila euro. Un aiuto, in questi casi, sarebbe quello che potrebbe (e dovrebbe) venire dai lettori attraverso l’incoraggiamento ad andare avanti e con le dimostrazioni di stima e di solidarietà che in questi casi più che mai sono graditi. La loro mancanza apre le porte al pericoloso isolamento che dà ragione alle temerarie denunce.
Nazareno Dinoi
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