
MANDURIA - Quando si legge il nome: Elisa Springer, un brivido gelido ci percorre la schiena. Tutti conoscono la storia di questa grande donna ebrea nata a Vienna nel 1918 che dopo essere sopravvissuta ai campi di sterminio sposò un manduriano nel 1946, trasferendosi nella nostra città messapica dove ebbe un solo figlio, Silvio Sammarco. Dopo cinquant’anni di silenzio, incoraggiata dall’amato figlio scrisse due libri, «Il silenzio dei vivi» e, dopo qualche anno, «L’eco del silenzio». Come lei stessa spiega in uno delle sue opere: «… è un dovere verso tutte quelle stelle dell’universo che il male del mondo ha voluto spegnere… I giovani liberi devono sapere, dobbiamo aiutarli a capire che tutto ciò che è stato storia, è la storia oggi, si sta paurosamente ripetendo». Aveva taciuto per proteggere il suo unico figlio Silvio Sammarco, invece fu proprio lui stesso a salvare lei, liberandola da quel macigno che l’opprimeva. Un grande gesto d’amore, quella di Silvio, compiuto anche grazie al sostegno della sua seconda moglie, Claudia Blandamura. Fu proprio la moglie Claudia, assieme alla suocera Elisa, a continuare questo progetto quando Silvio purtroppo morì prematuramente per un infarto. Rimasta in silenzio per tutti questi anni, in occasione del «Giorno della memoria», Claudia Blandamura, manduriana, ora avvocatessa residente a Milano da molti anni, con voce delicata e ancora piena di dolore ha accettato il nostro invito a raccontare la sua testimonianza ai lettori de la Voce di Manduria, ai manduriani e a quanti hanno amato sua suocera Elisa.
Qual è il ricordo più bello che conserva di Elisa Springer?
«Questa domanda m’imbarazza perché onestamente non saprei da dove partire per rispondere. Sono vissuta a stretto contatto con lei per circa vent’anni della mia vita e rammentare un episodio o un ricordo più bello degli altri, mi risulta davvero difficile. Forse, ora che me lo fa pensare, il ricordo più intenso che ho di lei è la luce che – a ragione - le brillava nello sguardo tutte le volte che ritornavamo nella sua Vienna».
Che tipo di rapporto era riuscita ad instaurare con Elisa?
«Conoscevo mia suocera sin da quando ero bambina (la ricordo a passeggio sul corso principale di Manduria con il suo cane –un collie femmina di nome Shira- che io adoravo). Il destino ha poi voluto che ne diventassi la nuora e che, di conseguenza, i miei rapporti con lei fossero molto più stretti. E questi rapporti sono sempre stati ottimi, improntati alla stima, al rispetto e all’affetto reciproci».
Cosa ricorda del periodo nel quale Elisa, grazie a suo marito, riuscì finalmente a liberarsi da questo segreto iniziando così a raccontarsi?
«Inizialmente mia suocera fu molto restia: aveva ancora paura… Poi pian piano la fiducia che amorevolmente Silvio riuscì ad infonderle e la solidarietà della gente che pian piano si manifestava sempre di più, le regalarono il sollievo della vera liberazione. Credo infatti che la sua liberazione dall’esperienza del lager sia avvenuta solo allora e, quindi, molti anni dopo quella fisica alla fine della guerra».
Insieme a suo marito e sua suocera avete viaggiato per mezza Europa non solo per cercare i suoi parenti scomparsi ma anche materiale sulla Shoà, cosa ha prodotto questa ricerca?
«Questa ricerca produsse allora molta documentazione non soltanto sui fatti storici dell’epoca, ma anche su crimini molto più recenti come (ad esempio) i fatti di Bosnia. Ma la cosa più importante che questa ricerca produsse, fu la fitta rete di rapporti umani e di solidarietà che si instaurò con gente di tutto il Mondo, coinvolta nelle stesse vicende di vita, o a queste interessata e vicina per motivi di studio e di ricerca».
In che misura il dramma di Elisa ha influito sulla vita dell’intera famiglia?
«Credo che il dramma di mia suocera abbia influito sotto davvero molteplici aspetti. Cercare di spiegare meglio ciò che intendo sarebbe troppo lungo, ma soprattutto di natura riservata e familiare. Mi limito a segnalare in mia suocera una mitezza ed una bontà d’animo che hanno improntato tutta la sua vita sia nei rapporti con familiari, sia in quelli amicali. Mitezza e bontà d’animo, spesso intese dagli altri come debolezza, hanno permesso di subire comportamenti ingiustamente prevaricatori».
Elisa era l’unica figlia di una famiglia ebrea di origine ungherese di commercianti austriaci, com’è arrivata a Manduria?
«Arrivò a Manduria in quanto conobbe suo marito (mio suocero), Guglielmo Sammarco, a Milano dove entrambi vivevano in quegli anni subito dopo la fine della Guerra. Fidanzatisi e poi sposatisi, decisero che sarebbe stato più sicuro per i trascorsi di Elisa, vivere a Manduria, anche perché qui mio suocero aveva i propri interessi lavorativi».
Suo marito Silvio sognava di dare vita a Manduria a un museo dell’Olocausto e a tale proposito chiese il sostegno fra i rappresentati degli enti locali dell’epoca senza nessun successo. La fondazione “Elisa Springer A-24020” di Matera, il museo nazionale di Auschwitz-Birkenau (Polonia) e l’associazione “KinderBullenhuser Damm” di Amburgo (Germania), pare stiano collaborando per realizzarlo a Matera. Perché non è stato possibile realizzarlo a Manduria dove è vissuta per lungo tempo e dove tra l’altro è stata sepolta?.
«Forse questa domanda sarebbe più giusto rivolgerla all’Amministrazione Comunale di Manduria, o – e meglio - alle varie Amministrazioni Comunali che nel tempo si sono succedute. Da parte nostra il tentativo di radicare su Manduria la Fondazione c’è stato, ma non abbiamo trovato il giusto supporto. E l’evidenza di come fino ad oggi sono andate le cose, lo conferma».
Come mai Elisa viveva a Matera, cosa l’ha portata a lasciare Manduria?
«Elisa ha trovato in altri luoghi la solidarietà ed il supporto necessari per promuovere e sviluppare gli obiettivi di testimonianza storica che si era prefissata dall’inizio insieme a Silvio e a me. Mi riferisco ovviamente alla Fondazione ed a tutto quello che ne segue».
Sua suocera Elisa tenne occultato sotto un cerotto, per cinquant’anni, il numero che le avevano stampato nella carne ad Auschwitz, nascondendo a tutti la sua storia. Perché? Chi glielo aveva impedito? Come mai prima ancora di suo figlio non lo aveva fatto suo marito?
«Ad Elisa fu la stessa Elisa ad impedire di raccontare la verità. Mia suocera ha trascorso una vita nella paura: essere nata di religione ebraica era una colpa da nascondere, bisognava continuare a nascondersi. Mio suocero era della sua stessa epoca ed aveva vissuto, per altro versi, altri orrori della guerra e conosceva la terribile storia della moglie. Hanno deciso così che si sarebbero protetti e che, soprattutto, avrebbero protetto il figlio. Silvio, seppure nato di religione ebraica (per la religione ebraica chi nasce da madre ebrea è in automatico ebreo) fu subito battezzato con il rito cattolico. Egli potette recuperare il rapporto con la religione ebraica solo in età adulta e dopo che la storia di Elisa venne allo scoperto. Comprendo che oggi questo non possa essere forse capito, anche io –confesso – spesso chiedevo a mia suocera perché non si fossero ribellati. E se non avessi vissuto appieno l’esperienza di mia suocera attraverso i suoi racconti ed attraverso le ricerche storiche fatte insieme a mio marito per il Mondo, stenterei ancora a comprendere. Ma noi siamo di un’altra generazione e possiamo solo intuire la paura di chi ha vissuto quegli orrori, ma non la potremo mai capire e soprattutto sentire.
E’ per questo che, come prima le ho detto, mia suocera ha vissuto la vera liberazione, solo dopo aver iniziato a raccontare per il Mondo la sua vera storia».
Suo marito Silvio Sammarco, era medico e si era specializzato nello studio dei “Crimini Medicalizzati nei Lager”, il 21 marzo del 2001 ha permesso l’apertura a Vienna del processo a Hanrich Gross, medico nazista, che lui stesso ha scovato. Com’è andata a finire?
«Gli eventi hanno seguito il loro corso, un corso legale, forse non giusto, ma la giustizia terrena non è mai giusta. Il processo fu archiviato nel 2005 dal Ministero della Giustizia Austriaco, in quanto Gross non era mentalmente nelle capacità di affrontare il processo ( soffriva da anni di una grave forma del morbo di Parkinson) . Molti si chiesero all’epoca dell’archiviazione e forse si chiederanno oggi se questa fu una decisione giusta. Da Avvocato posso solo dire che tecnicamente l’incapacità mentale dell’imputato doveva essere considerata come una causa ostativa al processo e così fu fatto. Se poi in termini assoluti questo sia stato giusto non si sa. Nessuno può dire cosa è giusto o sbagliato nel disegno di Dio, sicuramente noi operatori della Giustizia terrena cerchiamo di fare quello che possiamo per attuare quanto più possibile un concetto astratto di giustizia: quasi mai funziona, ma a volte possiamo riuscirci».
Nel 1998 ad Elisa Springer è stata conferita la cittadinanza onoraria a Pompei, nel 2004 a Matera, nello stesso anno a Surbo le è stata intitolata una scuola. A Manduria a dieci anni dalla sua morte le è stata intitolata una Piazza. Perché secondo lei questo ritardo e questo poco interesse proprio nella sua città? Cosa avrebbe potuto fare Manduria e non ha fatto per sostenere Elisa e il suo progetto?
«Non posso che risponderle come sopra: in merito al ritardo rivolgerei la domanda alle varie Amministrazioni Comunali che nel tempo si sono succedute. E sono sempre le alle varie Amministrazioni Comunali che nel tempo si sono succedute a doversi chiedere se potevano fare qualcosa prima e magari qualcosa di più e qualcosa di più concretamente edificante, ai fini della conservazione della Memoria».
Suo marito Silvio era fondatore e presidente dell’associazione Elisa Springer in seguito trasformata in fondazione “Elisa Springer A-24020” con sede a Matera. Come reputa il lavoro svolto dal presidente, Francesca Lopane nel portare avanti il progetto di sua suocera?
«Posso solo ringraziare la signora Lopane per l’egregio lavoro che ha svolto e che ancora svolge per la Fondazione. Mi lasci anche ringraziare per lo stesso motivo il compianto amico Filippo Zollino che tanto fece per la Fondazione fino alla sua morte».
Katja Zaccheo
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2 commenti
Rosaria Peddio
lun 5 dicembre 2022 05:22 rispondi a Rosaria PeddioHo avuto la fortuna di conoscere la sig. Ra Elisa Springer quando venne a Cagliari nel 1999 per un incontro con gli studenti di una scuola superiore. Mi sento onorata di averla abbracciata e conservo di Lei il ricordo di una donna forte e coraggiosa che ha saputo andare avanti e raccontare ai giovani che quello che ha passato Lei non debba piu' accadere. Sono trascorsi quasi 24 anni e 80 da quegli anni terribili, e ci ritroviamo ancora a dover a che fare con gli stessi sentimenti di allora, l'odio, la forte volonta' a voler togliere qualsiasi liberta' finalizzata a schiavizzare l'uomo e reprimere ogni suo sussulto, e' piu' che mai di tragica attualita'. Io lotto sempre, non mi stanchero' mai, ma devo ammettere che e' dura, soprattutto qui in Italia.
rosa blu
mar 27 gennaio 2015 09:19 rispondi a rosa bluGrande uomo Silvio. ...Elisa una donna madre speciale. ...peccato ke Manduria nn ha mai apprezzato questa donna ...parlo come amministrazione comunale...dopo dieci anni una piazza. ..mi sembra poco...abbiamo avuto nel nostro paese mezza storia mondiale comw minimo kw farei un museo una scuola ....ma stiamo scherzand....cmq Ciao Elisa....ho di te un ricordo di una xsona semplice senza furbizia e senza pregiudizi unica