
Affaccendate, sopportavano una fatica grande, diversa da quella delle cose quotidiane; non rinunciavano, però, alla tradizione. Erano le donne, le madri, con coscienza della famiglia, alle quali, a volte, non venivano riconosciuti i sacrifici sostenuti. Impastavano, di buon mattino, scarcedde e taralli con gli ingredienti tramandati da lungo tempo: farina, olio fritto, lievito e semi di finocchio selvatico. Non poteva mancare, messo in mezzo alla pasta, l’uovo che, per il periodo , simboleggiava inizio di vita o rinascita. Era il periodo pasquale. Preannunciato, appunto, col profumo tipico di queste ciambelle che si cuocevano in forni, in cui si faceva il pane quotidiano, alimentati da odorose frasche di ginestra, di lentisco e di mirto.
La settimana, detta santa, iniziava con la domenica delle “palme”. Si facevano benedire i rami d’ ulivo che gli uomini avevano preso dalla campagna per restituirli dopo, divenuti sacri, affinché la terra, per questo creata, producesse, con la benevola grazia di Dio, abbondanza di frutti per il sostentamento degli uomini. Si offrivano pure a conoscenti e familiari, dimenticando eventuali odi, dissidi e liti che non mancavano mai. La Pasqua era pace e si poteva, con un piccolo gesto, fare pace.
Era consueto che i bambini incrociassero le tenere foglie pennate delle palme e farne, con grande maestria, delle piccole croci, le crocette, da distribuire all’uscita delle chiese o di casa in casa.
Come un Re terreno era stato accolto quell’ uomo di nome Gesù. Ipocrisia umana … avrebbe dovuto sostenere solo giorni di passione e morte ! Si officiavano i riti tradizionali dei cristiani. Si facevano e si portavano alle chiese “li piatti ti Cristu” . Ad inizio della quaresima si mettevano a germogliare, al buio, in un bacile, chicchi di grano, semi di lino o veccia facendo spuntare i teneri germogli. Rappresentavano morte e rinascita della vita, cosa gradita al Dio della vita eterna.
Il giovedì, l’ultima cena, a pane e vino, di Gesù. Come narravano i Vangeli, era arrivata, per Lui, l’ora: lasciava la terra degli uomini, non senza compiere un gesto simbolico. Li servì lavando i piedi, pur essendo da loro tradito.
Gli altari venivano spogliati dei loro ornamenti, lasciati vuoti, con solo un posto adattato per la reposizione dell’Eucaristia. Iniziavano pellegrinaggi per visitare “ i sepolcri”, con atto mesto di adorazione.
Le confraternite annunciavano il loro passaggio al suono delle troccole, trenule, le battole che sottolineavano l’andamento penitenziale. A notte fonda, dopo la mezzanotte, si prelevava la madre di Gesù, Maria, di nero le sue vesti: l’ Addolorata, straziata per il figlio a lei sottratto, come tutte le madri alle quali viene a mancare l’affetto più caro. La si accompagnava in giro sino alle prime luci del mattino dopo.
Il venerdì era un giorno stranamente silenzioso. Si sospendevano e rimandavano attività e mestieri. Come non partecipare al supplizio sancito dalla malvagità, mai ripudiata, degli uomini ? Si metteva a morire in croce un uomo la cui colpa era quella di aver parlato di amore tra i tutti della terra. Tradimenti , rinnegamenti e martirio furono le risposte.
A tarda sera, le figure della Passione, i Misteri, venivano portate nelle vie cittadine avvolte dalle tenebre. I “lampiuni”, lampioncini con un’asticella di legno, tenuta in mano dai bambini contornavano, tra la folla, la lunga processione con piccole lucine come le stelle in cielo.
Il giorno dopo, sabato, il Gesù, sciogliendo le bende funerarie, si rivelò di natura divina. Risorse da morte per partecipare agli uomini che oltre al terreno, in cui ognuno porta la sua croce, c’è un’ altra vita nella quale bisogna sperare e credere.
A mezzogiorno si slegavano le campane. Si facevano suonare all’unisono, per la gloria di Dio. Alle campane era dato il compito di scacciare via la mestizia ed annunciare una rinascita di vita e di speranza con l’animo rinnovato e rafforzato da certezze più solide.
La domenica, vera festa della Pasqua. E si desiderava stare in pace. Il pranzo pasquale si sostanziava con un bel convivio e, magari, con quel galletto, portato a tavola, colpevole d’aver cantato prima del tradimento di Pietro, amico del Gesù di Nazareth. E pace e serenita’ , si faceva promessa, da farle durare per sempre, per tutti e con tutti, anche se poi i buoni propositi si dimenticavano facilmente, e presto, scordandosi, tradendo e rinnegando d’esser Uomini.
Egidio Pertoso
Vuoi commentare la notizia? Scorri la pagina giù per lasciare un tuo commento.
© Tutto il materiale pubblicato all’interno del sito www.lavocdimanduria.it è da intendersi protetto da copyright. E’ vietata la copia anche parziale senza autorizzazione.