Due processi, civile e penale, senza esito in ogni loro grado; sei inchieste penali tutte archiviate; centinaia di lettere di protesta a tutte le autorità regionali e nazionali; decine di articoli sui giornali e una vita distrutta. Ora Francesco Miccoli, papà di Lorenzo, morto 23 anni fa in circostanze mai del tutto chiarite durante il servizio militare, allora obbligatorio, si gioca la sua ultima carta investendo del suo problema la Procura militare. L’altro ieri, l’ex imprenditore edile, rovinato anche economicamente da quel terribile lutto, si è presentato alla stazione carabinieri del suo paese presentando l’ennesimo esposto-querela chiedendo questa volta di attivare l’autorità giudiziaria militare. In sette pagine allegate alla denuncia, Francesco Miccoli ripercorre la tragica fine di suo figlio Lorenzo sulla cui morte non esistono risposte chiare e univoche. Il soldato abile alla leva e quindi sano come un pesce, morì il 22 marzo del 1995 nell’ospedale San Salvatore di Pesaro dove fu ricoverato per una banale mononucleosi contratta in caserma. «Mio figlio è stato avvelenato con delle flebo infette», scrive Miccoli nella denuncia riportando l’esito di una autopsia da cui si certificò una «epatite fulminante». In questa ennesima sua denuncia, il papà di Lorenzo cita senza remore il nome di chi avrebbe ucciso suo figlio. «Chiedo la punizione del medico dell’ospedale San Salvatore di Pesaro – si legge nel dattiloscritto – che io ritengo essere la persona responsabile della morte di mio figlio. Aggiungo inoltre – prosegue lo scritto autografo – che una infermiera che lavorava presso lo stesso reparto, sosteneva che il suo collega, morto suicida, gli aveva confidato che tale dottore preparava delle flebo “speciali” per i suoi pazienti al fine di screditare il suo primario».
In effetti in quegli anni il reparto di ematologia diretto dal professore Guido Lucarelli, padre del famoso giornalista giallista Carlo, balzò alle cronache per le numerose morti sospette avvenute nello stesso periodo in cui morì Lorenzo. Una storia di cui si è parlato tanto all’epoca con accuse di boicottaggi tra camici bianchi, sospette sperimentazioni clandestine, abuso di farmaci ed anche dell’infermiere che si tolse la vita alla vigilia della sua testimonianza in aula. Anche l’ematologo Lucarelli, chiamato in causa per quelle morti strane, lanciò delle accuse nei confronti di qualcuno che volutamente avrebbe iniettato una sostanza letale sui suoi pazienti per rovinarlo. «So chi è ma non posso dire il nome perché non ho le prove», aveva dichiarato il professore Lucarelli in aula. Per nove di quelle morti il tribunale di Pesaro ha riconosciuto le responsabilità dei medici stabilendo anche un risarcimento alle famiglie di un miliardo di vecchie lire ciascuna. Ad uccidere il giovane fragagnanese, invece, secondo le cartelle cliniche ed anche per la magistratura, fu una forma virale che gli aveva consumato il fegato in 24 giorni.
«Il mio Lorenzo lo ha ucciso quel farmaco-killer iniettato in vena», insiste ancora oggi il sessantaquattrenne che spera ancora in un miracolo. «Se nemmeno la giustizia militare mi darà ascolto – dice – farò quello che ho promesso al mio Lorenzo: andrò davanti al tribunale di Pesaro e lì mi darò fuoco».
Nazareno Dinoi su Quotidiano di Taranto
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1 commento
leonardo
dom 14 ottobre 2018 05:46 rispondi a leonardomolto probabile che vostro figlio sia stato ucciso in quell'ospedale ,da qualche stupidiota che voleva screditare il suo primario,purtroppo se non si hanno prove certe si regalano soldi agli avvocati ma non si arrivera' mai a nulla.tantomeno ad un risarcimento che non capisco perché è stato riconosciuto solo a 9 dei 23 morti sospette? coraggio