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Il grande terremoto del 1743 Il grande terremoto del 1743 | © n.c.MANDURIA - Era il 20 febbraio 1743, (esattamente 272 anni fa come oggi), quando, intorno alle 16.30, tre forti scosse di magnitudo compresa tra sesto e settimo grado della scala Richter, con epicentro nel Canale d’Otranto, a soli 50 chilometri dalla costa salentina, provocarono morte e distruzione in Grecia e nel Salento. L’evento è noto anche come terremoto di Nardò. La comunità neretina, infatti, fu la più martoriata dalla furia del movimento tellurico, dove l’intensità raggiunse il nono grado della scala Mercalli. Le cronache locali registrarono almeno 112 vittime; altre fonti parlano di 150, con 180 morti in tutta la Puglia. Un’altra fonte parla addirittura di 349 vittime nella sola Nardò. A Manduria, vi fu una sola vittima, come riporta il sacerdote Leonardo Trentini nella sua opera «Manduria Sacra». I danni registrati nei centri abitati e la perdita di vite umane, sono ben documentate dai racconti folkloristici e dagli atti notarili. Le maggiori distruzioni si ebbero nel Salento, in particolare a Nardò e a Francavilla Fontana. Il terremoto si abbattè con tutta la sua portata distruttiva anche su Amaxichi, una località dell’isola di Lefkada (Isole ioniche) in Grecia, dove provocò circa 100 morti e la rovina di molti edifici. Le scosse furono anche avvertite in diverse aree dell’Italia e del Mediterraneo, come a Messina, Napoli, Roma, l’isola di Malta, tutta la costa albanese e persino in alcune città della pianura padana. Localizzato l’epicentro a circa 50 km a largo della costa salentina, non si esclude l’ipotesi che vi fu anche un maremoto. L’unica testimonianza storica certa relativa al maremoto si trova solo negli archivi storici di Brindisi, in cui si segnalava un repentino e sensibile abbassamento del livello del mare nel porto. La mancanza di ulteriori documentazioni storiche è dovuta probabilmente al fatto che l’area costiera interessata direttamente dal fenomeno – in pratica, quella compresa tra Brindisi e Santa Maria di Leuca – all’epoca era quasi disabitata per via delle numerose paludi, ad esclusione ovviamente dei borghi di Otranto, di Castro e di Santa Maria di Leuca. A differenza della costa, l’entroterra è tuttora ricco – anche se non troppo – di documentazioni dell’epoca e di racconti che parlano della vicenda. L’evento è descritto in alcune centinaia di documenti storici, da cui si attesta che furono oltre 85 le località interessate. Importanti danni si verificarono nelle località costiere di Otranto e di Brindisi, ma nemmeno Taranto e Bari furono risparmiate. A Brindisi, oltre allo tsunami che si abbatté sul porto, la cattedrale fu lesionata e in seguito crollò. Altri danni ingenti si verificarono a Sava (al Santuario della Madonna di Pasano), a Maruggio (alla Chiesa Madre, con il rosone completamente distrutto), a Lizzano (in buona parte del centro storico e al Castello marchesale, che subì una forte inclinazione), a Carosino (alla Chiesa di Santa Maria delle Grazie), a Parabita (alla Chiesa di Maria SS.ma dell’Umiltà, che subì forti lesioni), a Galatina, a Gallipoli, a Leverano, a Guagnano (con danni gravi alla Chiesa Matrice) e a Salice Salentino (con il crollo del soffitto della Chiesa di Santa Maria Assunta). A Manduria i danni maggiori si registrarono alla Chiesa Matrice, al Palazzo Imperiali – Filotico, alla Chiesa di San Francesco, al Convento dei Padri Servi di Maria. Molti comuni, inoltre, oltre alla conta dei danni, dovettero censire anche le proprie vittime (ma, questi dati, non sempre sono facilmente reperibili). L’apice della potenza distruttiva, almeno sulla base delle morti censite, si ebbe in due centri in particolare: ovvero a Francavilla Fontana e, soprattutto, a Nardò. Proprio per questo motivo, l’evento in questione è noto anche come terremoto di Nardò. Gli storici, anche se non concordi con l’ora dell’evento, documentano che la maggior parte degli edifici neretini furono danneggiati o totalmente rasi al suolo. Il numero esatto delle vittime resta tuttavia un mistero: alcune fonti parlano di 112 vittime (Liber mortuorum della chiesa cattedrale neretina), altre ancora di 150 a Nardò e di 180 morti totali in tutta la Puglia, altre addirittura di 349 nella sola Nardò. A Manduria, allora Casalnuovo, come già scritto, ci fu una sola vittima. Si ritenne tuttavia che il numero di vittime fu comunque basso a fronte dell’intensità del sisma, tanto che in quasi ogni comunità si volle credere alla protezione dei propri Santi Protettori. Si rafforzò da qui, quindi, quello stretto legame folkloristico e religioso tra molte popolazioni salentine e la devozione a figure spirituali e a Santi Patroni. A Nardò, ad esempio, nacque la ricorrenza del 20 febbraio in devozione a San Gregorio Armeno che si celebra ogni anno. Secondo la credenza popolare, si attribuisce al Santo il miracolo di aver salvato gran parte della cittadinanza. La leggenda narra che la statua di San Gregorio Armeno, posta sulla sommità del sedile cittadino di Piazza Salandra, abbia ruotato verso la direzione dell’epicentro, per sedare appunto il catastrofico sisma. A Lecce, la devozione per Sant’Oronzo è legata alla protezione dal terremoto. In quel 20 febbraio, Lecce, infatti, non subì alcun danno. Consapevoli del pericolo scampato, i leccesi, già devoti alla figura di Sant’Oronzo, gridarono fin da subito al miracolo. A Francavilla Fontana si ringrazia la Madonna della Fontana, che si ritiene avesse evitato dei danni maggiori di quanti, in effetti, se ne verificarono. In suo onore si celebra ancora oggi, nella Matrice, una funzione religiosa il 20 febbraio. Una testimonianza dell’epoca racconta che Francavilla Fontana fu colpita, mentre si celebrava la festa del carnevale per le vie del paese. A Mesagne si rende ancora oggi omaggio con solenni festeggiamenti alla Beata Vergine del Carmelo, già patrona della città dal 1652, che avrebbe preservato la popolazione da lutti e distruzioni. Dagli atti notarili dell’epoca (del notar Francesco Paolo Zambelli e del notar Francesco Passante Dello Diaco), si deduce, infatti, che a subire i danni maggiori furono solo gli edifici più vecchi ed instabili. A Manduria, all’indomani del terremoto, dalla Confraternita di S. Leonardo e S. Sebastiano, fu commissionata la statua della Madonna Immacolata, detta Madonna del Terremoto, tuttora presente nella Chiesa di S. Leonardo (detta “la Maculatedda”). La popolazione di Manduria, per lo scampato pericolo, fece erigere, inoltre, nei pressi del Largo Osanna (ora Piazza Vittorio Emanuele - giardino pubblico), una colonna con la statua in pietra dell’Immacolata. Sulla porta pubblica detta “Porticella”, dove oggi sorge l’attuale orologio, fu dipinto un affresco raffigurante il distrutto campanile della chiesa matrice e, tra le macerie, la mano protettrice della Vergine Immacolata. Si può quindi affermare che le memorie del terremoto correlate al culto dei Santi sussistono in numerosi centri del Salento: a Brindisi la processione dell’Immacolata, a Latiano le sacre funzioni che ricordando l’intervento miracoloso di Santa Margherita, ad Oria si ringrazia San Barsanofrio con una processione e, così, a Manduria, a Campi Salentina, ecc. Lasciando da parte l’aspetto mistico, sembra che in seguito a quell’evento, le tecniche costruttive degli edifici nel Salento subirono importanti modifiche. Il terremoto, d’ora in poi, avrebbe rappresentato un importante spartiacque per l’architettura e per la regola d’arte costruttiva locale. Infine, secondo alcuni esperti, il Salento non sarebbe una zona a bassa sismicità, bensì un‘area con eventi tellurici rari ma di altissima intensità. In altre parole, i movimenti tettonici accumulerebbero energia che, anziché essere dissipata in frequenti scosse sismiche di bassa o media intensità, verrebbe sprigionata in rari e disastrosi terremoti. Ragion per cui, nel pianificare il futuro del territorio, dell’urbanistica e dell’edilizia si dovrebbe tener conto anche di queste eventualità. La mappa delle zone sismiche realizzata dall’Ingv sarebbe stata elaborata su base statistica. Non essendosi verificati eventi sismici importanti nel nostro territorio negli ultimi 271 anni, il Salento occupa il gradino più basso. Emilio Distratis
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2 commenti
antonio
lun 23 febbraio 2015 09:19 rispondi a antonioPurtroppo anche Avetrana non fu risparmiata dal terremoto. La chiesa matrice del cinquecento sub danni da dover essere demolita,ricostruita e poi terminata nel 1756. Il torrione del castello fu gravemente danneggiato con importanti lesioni verticali poi finalmente restaurato solo di recente negli anni 80 del secolo scorso. Molti edifici religiosi, come la chiesa di Santa Maria della Vetrana nell'omonimo casale che croll completamente, e tanti altri edifici privati ma anche pubblici come parte delle mura ciquecentesche ed alcuni torri di cinta tanto che nell'800 il comune dovette vendere a privati per riqualificare le aree occupate dai ruderi e pericolosi per la salute pubblica. La porta del paese era ancora pericolante quando a met 800 fu abbattuta. Dovete sapere che fino ad allora la maggior parte delle abitazioni salentine aveva il tetto in legno ricoperto da coppi o tegole e tra un piano e l'altro vi era un inframezzo di legno
antonio
lun 23 febbraio 2015 09:19 rispondi a antonio. Solo i palazzi e le abitazioni dei nobili e dei benestanti potevano permettersi i soffitti in tufo a botte o a crociera. Con l'avvento a fine seicento e inizi settecento della volta a stella e quindi con il terremoto si scelse di costruire case pi stabili con volte a stella ed il paesaggio salentino si modific nella parte solare con le "lammie" in tufo. Sono poche le abitazioni pre terremoto che conservano ancora qualche tetto: qualche vecchia masseria e pochissime abitazioni sparse nei centri storici del Salento.