Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pesaro ha accolto la richiesta di archiviazione proposta dal pubblico ministero titolare dell’inchiesta sulla morte di Lorenzo Miccoli, il giovane di Fragagnano morto 23 anni fa quando di anni ne aveva 20, durante il servizio militare che all’epoca era obbligatorio. S’infrange così, per l’ennesima volta, la speranza della famiglia che da quasi un quarto di secolo chiede giustizia e verità su una morte di cui non sa darsi pace. E sulla quale non esistono risposte chiare e univoche di chi, negli anni, si è occupato del caso. Il soldato abile alla leva e quindi sano come un pesce, morì il 22 marzo del 1995 nell’ospedale San Salvatore di Pesaro dove fu ricoverato per una banale mononucleosi contratta in caserma. Ad ucciderlo, secondo le cartelle cliniche ed anche per la magistratura, fu una forma virale che gli aveva consumato il fegato in 24 giorni. Per i genitori, invece, il loro Lorenzo è stato vittima di un farmaco-killer iniettato in vena nel reparto di ematologia. Un reparto balzato alle cronache per le numerose morti sospette avvenute nello stesso periodo in cui morì Lorenzo. Una storia di cui si è parlato tanto all’epoca con accuse di boicottaggi tra camici bianchi, sospette sperimentazioni clandestine, abuso di farmaci, addirittura di un infermiere suicida alla vigilia della sua testimonianza in aula. L’imputato principale, l’allora primario del reparto, l’ematologo Guido Lucarelli, padre del noto giornalista e autore di gialli, Carlo Lucarelli, lanciò delle accuse nei confronti di qualcuno che volutamente avrebbe iniettato una sostanza letale sui suoi pazienti per gettare discredito sul suo lavoro. «So chi è ma non posso dire il nome perché non ho le prove», aveva dichiarato il professore Lucarelli in aula. Per nove di quelle morti il tribunale di Pesaro ha riconosciuto le responsabilità dei medici stabilendo anche un risarcimento alle famiglie di un miliardo di vecchie lire ciascuna.
«Per la morte del nostro Lorenzo stiamo pagando solo noi che da ventitré anni invochiamo giustizia», commenta Francesco Miccoli, papà del militare che da quel 22 marzo di tanti anni fa si è consumato sia fisicamente che economicamente. E che alla luce dell’ennesima archiviazione decisa dai giudici comincia a crollare. «Non ce la faccio più – dice – non mi resta che andare a Pesaro e darmi fuoco davanti al Tribunale». Dopo tante lotte contro una giustizia non sempre vicina ai più deboli, la famiglia Miccoli era riuscita a far riaprire le indagini grazie ad una interrogazione parlamentare presentata nella passata legislatura dalla senatrice del gruppo misto Adele Gambaro, che si era mostrata sensibile all’ennesimo appello del padre del giovane soldato. Con l’atto di opposizione alla richiesta di archiviazione del pm, l’avvocato della famiglia Miccoli, Luca Garbugli, chiedeva sostanzialmente la riesumazione del cadavere per consentire una perizia tossicologica (mai eseguita, NdR) forte di una perizia tecnica commissionata a febbraio 2018 al professore Roberto Candela di Bari, secondo cui «la ricerca dei farmaci presenti nel materiale biologico del cadavere, la loro determinazione qualitativa e quantitativa appare necessaria se non fondamentale. Tale determinazione – aggiunge lo studioso – poteva essere fatta al momento del decesso, ma può essere eseguita anche successivamente».Sulla necessità di un nuovo esame autoptico sui resti di Lorenzo si è espresso anche il criminologo romano Francesco Bruno facendo notare che nell’autopsia eseguita subito dopo il decesso «si sia rimasti legati al solo riscontro diagnostico che non aveva lo scopo di indagare le vere cause della sua morte». Perizie e spese legali, sinora inutili che si sommano al patrimonio già sperperato dalla famiglia Miccoli in tanti anni di processi e inchieste.
Nazareno Dinoi
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