Finalmente Cosimo Antonio Stano ha avuto qualcuno in sua difesa. Erano gli addetti dell’agenzia funebre «La Pietà» che hanno svolto l’inedito compito di efficientissimi bodyguard con un imperativo ordinato dai parenti in lutto: tenere lontani i curiosi, ma soprattutto telecamere e giornalisti, dal suo funerale che si è svolto in forma riservatissima. Sono state così blindate le esequie del sessantaseienne manduriano per la cui morte avvenuta nella rianimazione dell’ospedale Giannuzzi di Manduria sono indagati quattordici giovani del posto, dodici dei quali non ancora maggiorenni. Sono accusati di aver provocato il decesso o contribuito a peggiorare lo stato fisico e psichico del pensionato, loro abituale vittima. Per questo devono rispondere di omicidio preterintenzionale, stalking, rapina ed altri gravi reati. Le loro bravate le hanno video registrate e immesse nelle chat.
Ma torniamo ai funerali di ieri. Per assicurarsi la riservatezza, i familiari hanno organizzato un depistaggio che non è riuscito. Dopo aver fatto circolare la falsa notizia che la messa funebre si sarebbe svolta nella chiesa del Rosario, attaccata all’ospedale dove il feretro era rimasto sino a ieri, il personale delle pompe funebri, addestrato allo scopo, ha accennato un breve corteo con la bara a spalla e, invece di entrare nella chiesa, ha infilato la cassa nel carro che era in attesa con i motori accesi. Lasciando tutti a bocca aperta l’autista ha poi accelerato allontanandosi in fretta.
Gli operatori dell’informazione, dopo un attimo di sbandamento, si sono fiondati nelle proprie auto innescando un inseguimento con la macchina de «La Pietà» diretta nella casa di riposo «Oasi Santa Maria», nella parte opposta della città, dove i parenti erano già in attesa nella cappella dedicata a Sant’Anna. Lì, don Domenico Spina, parroco della chiesa di San Michele Arcangelo, ha celebrato la messa funebre davanti ad una trentina di persone tra parenti e amici strettissimi.
Nel frattempo fuori il carrozzone della stampa e televisioni si era assiepato davanti ai cancelli chiusi. Durante la cerimonia, all’esterno non sono mancate scene di disapprovazione dei fedeli e persino di parenti del defunto a cui è stato impedito di entrare.
Dietro la scelta di «corazzare» il funerale, si è consumata poi una guerra sotterranea che non è sfuggita ai più attenti. Quella tra i parenti del defunto e la parrocchia di appartenenza della famiglia dove sarebbe toccato il funerale, la chiesa di San Giovanni Bosco, appunto. A quanto pare alla famiglia del disabile non è stata gradita l’esposizione mediatica di don Dario De Stefano, loro parroco, e per questo non gli è stato consentito di celebrare l’omelia funebre.
Ad ogni modo, l’ennesimo isolamento della vittima di bullismo non è piaciuto a molti manduriani che speravano di dimostrare la loro solidarietà affollando il funerale. Uno di loro, Fabio Dinoi, amico di infanzia del pensionato, ha definito la scelta della famiglia «l’ennesima bruttura» fatta a Stano. Un altro che lo conosceva, Leonardo Milano, che voleva dare l’ultimo saluto ad Antonio, si è sfogato con i giornalisti: «a Manduria – ha detto - ci conosciamo tutti, siamo faccia a faccia ma non ci salutiamo. Siamo un mondo di morti».
Intanto cominciano le spaccature tra l’opinione pubblica chiamata dalle istituzioni a partecipare alla marcia per la civiltà di sabato 4 maggio. Negli ambienti scolastici si registrano le prime defezioni di genitori che non hanno concesso il a osta per far sfilare i propri figli. Una mamma, Silvia Mandurino, ha scritto così sul rifiuto consegnato alle maestre: «Io insegno a mia figlia il bene ed il male, le insegno il giusto e lo sbagliato, le insegno il rispetto, ma soprattutto le insegno a non essere ipocrita».
Nazareno Dinoi
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