Le chiamavano “zitelle” in un senso dispregiativo che si riferisse al loro stato civile. Si voleva che fossero “acide” e non adatte alla vita matrimoniale. Ma chi erano queste donne, che non molti decenni fa, popolavano i nostri paesi?
Erano donne non sposate, oggi le definiremmo con un termine barbaro, “single”, oggi le identificheremmo come “donne libere”, ma niente li di più lontano, soprattutto del termine “libertà”, sarebbe stato adatto a loro.
Nascevano in società dove la realizzazione delle donne, altro non era che sposarsi e fare figli. Poche quelle che avessero la possibilità di studiare e avere un ruolo sociale, oltre il loro stato civile.
Erano le “donne a metà”, erano “le ombre” di una società contadina e dai molti figli. Alcune non si sposavano perché, nella povertà delle famiglie, non potevano avere una dote.
Il matrimonio era una stipula tra famiglie, dove poco entravano l’attrazione e l’amore. Altre erano le figlie minori, quelle che venivano identificate come le figlie della vecchiaia. Quelle già destinate, in una non scritta legge di natura, a rimanere nella casa paterna e occuparsi dei genitori anche quando vecchi e malati.
Non avevano scelta, o meglio, nessuno chiedeva loro se accettassero e volessero quel ruolo. Era qualcosa di scontato e come tale, preteso. In quasi tutte le famiglie, c’era questa figura, questa “zia” che se pur amata, rimaneva incompleta nel suo ruolo. Anche nella mia…
Ritrovando questa vecchia foto, una delle poche in cui un sorriso bellissimo e spontaneo, illumina il viso di mia zia, la mia mente ritorna a quelle donne.
Mi chiedo quante di loro si siano innamorate e abbiano sognato una vita fatta di figli e famiglia? Quanta la loro volontà non sia stata violata, da convenzioni e leggi tramandate…?
Mia zia doveva essere bella in gioventù, con i suoi capelli scuri e i suoi occhi chiarissimi. Forse il suo carattere, non avrà giovato… forte, irruente, mai incline alla condiscendenza, ma forse quel carattere non era presente da giovane; fu frutto della vita.
Lei era “la marabuta (zitella) dei Barilaro”. Un termine che la faceva andare su tutte le furie, perché anche la definizione di “signorina”, era riservato a quelle donne che, se pur non sposate, avessero avuto un minimo di istruzione, come maestre di asilo o scuola, o a che appartenesse a famiglie in vista.
Le altre sfiorivano tra chiesa e genitori. Le altre erano le ombre delle sorelle, nutrendosi di affetti “presi in prestito”.
Cosa ne sarebbe stato di mia zia, zia Rosaria, se fosse nata in un’altra epoca e in un altro contesto culturale?
Nei suoi occhi celesti come il cielo di agosto, zampillavano, arguzia e intelligenza. Conosceva interi brani a memoria de “La divina commedia” solo per averla sentita studiare dai fratelli, frati domenicani.
Oggi, avrebbe studiato, sarebbe stata una di quelle determinate donne in carriera? Forse non si sarebbe sposata, ma per una sua scelta di “libertà” perché la realizzazione delle donne non passa più attraverso un matrimonio e la famiglia?
La cosa che mi rattrista, è notare che tra le foto che in tutte le case teniamo sui mobili, per ricordare chi non c’è più, genitori, fratelli e sorelle morti, mai compaia la foto di queste zie, come se anche dopo la morte, siano destinate a rimanere un ibrido di donna… donne a metà
Fortunata Barilaro
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