Una relazione extraconiugale finita male tra due persone adulte. Conclusa peggio in tribunale dove l’uomo, un imprenditore di Avetrana oggi settantunenne, è stato trascinato dalla sua ex, separata e residente in un altro comune della provincia di Taranto. La donna più giovane di lui di venti anni, lo aveva denunciato per atti persecutori, offese e minacce attraverso lettere e post pubblicati sui social. Quasi cinque anni di udienze, testimonianze, consulenze e perizie, sino all’assoluzione dell’uomo difeso dagli avvocati di fiducia Franz Pesare e Stella Cito.
I fatti denunciati dalla donna sarebbero accaduti tra il 2015 e il 2017. In quegli anni, secondo quanto denunciato dalla presunta vittima, l’imprenditore che era stato lasciato avrebbe iniziato ad importunarla non sopportando l’abbandono. Approcci che sarebbero diventati sempre più pressanti e insistenti sino alla persecuzione, ha raccontato la donna nella denuncia presentata ai carabinieri. Così l’avetranese è stato indagato per diffamazione e minacce in concorso con sconosciuti. «Con condotte reiterate ed in esecuzione di un medesimo disegno criminoso – scriverà il pubblico ministero che se ne occupa, la sostituta procuratrice Filomena Di Tursi nell’avviso di garanzia -, mediante numerosi messaggi diretti» alla vittima «alla quale era stato legato da una relazione sentimentale, nonché a parenti, amici e conoscenti della stessa, offendeva la reputazione e la minacciava». Gli insulti, tutti riportati sulle varie messaggistiche finiti agli atti del processo, erano di questo tipo: «marcia, falsa perbenista, tettona». Ed anche minacce come «stai attenta, ora sono “cavoli” tuoi».
Rinviato a giudizio per questo, nel 2019 è iniziato il processo che si è chiuso l’altro ieri con la sentenza pronunciata dalla giudice monocratica della prima sezione penale del Tribunale di Taranto, Luana Loscanna, che ha assolto l’imputato «perché il fatto non sussiste». I suoi avvocati hanno smontato le principali accuse di natura informatica (file), cartacea (lettere) e social (chat sui vari canali), tutte prive dell’origine. Non sarebbe stato possibile accertare, insomma, che a scrivere quelle offese fosse stato l’imputato che è stato così assolto con la formula piena. La pubblica accusa aveva chiesto la sua condanna con una pena di sei mesi di reclusione.
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