Martedì, 1 Aprile 2025

Giudiziaria

La decisione dei giudici ha fatto emergere un'altra versione dei fatti

Marito "violento" assolto in appello: "con la moglie si insultavano a vicenda"

Giustizia Giustizia © La Voce di Manduria

Un manduriano che in primo grado era stato condannato per maltrattamenti e minacce alla moglie che lo aveva denunciato, è stato assolti in appello dove sarebbe emersa un’altra verità: un matrimonio iniziato male tirato avanti per quindici anni tra continui litigi e incomprensioni.

Il primo grado del processo, per presunti maltrattamenti e minacce del marito nei confronti della moglie, entrambi manduriani, si era chiuso sfavorevolmente per l'uomo; il secondo, in Corte d'appello, ha cambiato completamente il quadro con l'assoluzione l'imputato «perché il fatto non sussiste». E' l'epilogo di un rapporto di coppia durato quindici anni, mai vissuto serenamente, tra un operaio di 57 anni e sua moglie. A luglio del 2021 il tribunale aveva condannato l'uomo ad un anno e mezzo di reclusione e al pagamento di una provvisionale 10.000 euro.

L'uomo, difeso dagli avvocati Davide Parlatano e Sara Piccione, è stato assolto con la formula piena mentre sulla donna è calato un peso sicuramente più insopportabile della separazione stessa e di quei maltrattamenti e privazioni per i quali aveva deciso di denunciare il marito: la figlia ha deciso di stare dalla parte del papà accusando la madre di essere la responsabile di tutto, anche dei continui litigi; stessa cosa per il primogenito vittima nel frattempo di una disgrazia che lo ha portato via in tenera età.

«Trattasi di inveterati dissidi familiari» secondo i giudici d'appello che hanno annullato la sentenza di primo grado incanalando la disputa in un quadro nel quale, pur non potendo ritenere falsa l'accusa della moglie nei confronti del marito, «risulta davvero difficile giungere alla certa conclusione opposta». Si sarebbe quindi trattato, si legge nella sentenza, «della reciproca ed aggressiva modalità di composizione dei conflitti matrimoniali». O meglio «della risoluzione di contrasti familiari, per lo più generati da questioni economiche, affidata piuttosto che ad un ormai inesistente dialogo, ad offese reciproche volte semplicemente a far prevalere con la contumelia il rispettivo punto di vista di chi le pronunciava».

N.Din.

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