La Corte di Cassazione ha confermato la condanna a quattro mesi di reclusione per le titolari di un centro scommesse in provincia di Lecce, accusate di raccolta abusiva di gioco. Nella sentenza pubblicata oggi, riporta Agipronews, i giudici supremi hanno confermato la decisione della Corte di Appello salentina di marzo 2021 che aveva riconosciuto le due imputate «responsabili» per la gestione di una cartoleria al cui interno era possibile scommettere online senza le necessarie autorizzazioni.
L'attività di scommesse, ricordano i giudici, era collegata a un bookmaker estero senza concessione italiana, e le due titolari erano prive dell'autorizzazione di pubblica sicurezza rilasciata dalla Questura. Tre dei sette computer nel locale erano inoltre gestite direttamente da entrambe, che raccogliendo personalmente le scommesse hanno si erano rese responsabili anche di intermediazione.
La Cassazione ricorda che il bookmaker al quale le due imputate facevano riferimento non aveva partecipato alla gara per le concessioni «per non aver fornito le garanzie sufficienti sulla sua capacità economica finanziaria», e che quindi non era stato escluso in maniera illegittima. «Del tutto fuori contesto risulta, pertanto, l'invocata l'impossibilità per l'allibratore di partecipare al Bando Monti a parità di condizioni con gli altri concessionari».
Il Collegio della Terza sezione penale ritiene inammissibile anche la tesi secondo cui la raccolta abusiva fosse stata messa in atto a causa di «un errore provocato da una normativa ritenuta oscura e contraddittoria», e dunque da una situazione «di incolpevole ignoranza della legge penale». Sulle indagate, sottolinea la sentenza, «gravava un obbligo rigoroso di informazione». In ogni caso anche la buona fede va esclusa, visto che «i software di tutti i computer presenti nel locale dove si effettuavano le scommesse erano stati manomessi» per evitare i controlli dell'Agenzia Dogane e Monopoli. Un comportamento che rivela «la piena consapevolezza del divieto allo svolgimento dell'attività». Esclusa, infine, anche la speciale causa di "non punibilità", visto lo svolgimento «organizzato e reiterato nel tempo dell'attività illecita».
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