Avetrana 26 agosto 2010, Avetrana 26 settembre 2024. Sono passati 14 anni e nel piccolo comune che 14 anni fa erano in pochi a conoscere, non c’è niente di nuovo. Tranne per il cantiere aperto per rifare il look a piazza Giovanni XXIII e il monumento “La Vela” raso al suolo al centro dell’altra piazza, Vittorio Veneto, quella con l'enorme ulivo monumentale, tutto è rimasto come in tanti lo abbiamo conosciuto per la triste vicenda impossibile da dimenticare.
L'omicidio di Sarah Scazzi
La morte di una ragazzina di quindici anni, Sarah Scazzi, che si pensava fosse stata rapita ma che si scoprirà di essere stata vittima di un orrendo delitto di famiglia. Uccisa dalla zia e dalla cugina e gettata nuda in un pozzo dallo zio, marito e padre delle due assassine. Delle due donne, condannate all’ergastolo che stanno scontando nel carcere di Taranto, non è rimasta traccia in paese. Di zio Michele sì. Di lui si è ricominciato a parlare nuovamente da quando è tornato a casa dopo aver scontato la pena. Lo si vede circolare poco, sempre con i vestiti da lavoro, raramente a piedi, spesso sul trattore o a bordo di una Fiat Panda, un’altra, usata, non quella rossa con la quale trasportò il piccolo corpo senza vita di Sarah che le due donne gli affidarono per farlo sparire per sempre. Impossibile avvicinarlo, diffidente più del solito, ha imparato a sfuggire dalle situazioni a rischio scegliendo orari quasi impraticabili per spostarsi in paese. «Ha qualche amico, suo collega nei lavori di campagna, ogni tanto lo si vede lavorare nel suo orto alle spalle di casa», racconta un passante di via Grazie Deledda che come tantissimi che ho incontrato non vuole mostrarsi in foto. Stranamente deserta per chi come me l’ha vissuta in quei momenti che l’hanno resa nota al mondo, la strada dove tutto è nato conserva ancora il fascino del mistero. Quel colore rosso mattone, i teli verdi che coprono la visuale interna e il portone del garage che evoca ricordi macabri: Sarah senza vita trascinata e presa in braccio da zio Michele che la carica sul cofano della Panda rossa per portarla in contrada Mosca dove per 42 giorni resterà a mollo nell’acqua piovana e putrida di un pozzo. Lui, unico abitante della casa dell’orrore, ha montato la maniglia che mancava a quel portone e ha cancellato il nome sul citofono.
La miniserie
Un gesto inutile, evidentemente, per dimenticare e farsi dimenticare. Dimenticare. Il desiderio di tutti qui, in un paese che cerca nuovamente di difendersi dall’ennesimo assalto mediatico che rimette tutto in moto. Una miniserie questa volta, “Avetrana-Qui non è Hollywood”, prodotta da un colosso della cinematografia mondiale come Disney che riapre una ferita mai rimarginata. Non l’unico e probabilmente non sarà nemmeno l’ultimo prodotto dell’arte o dell’informazione (o del pettegolezzo dei talk) a ricordare la storia della povera Sarah tradita e uccisa dai parenti. La novità, che questa volta indigna quasi tutti, è il titolo del film: “Avetrana” sbattuto a caratteri cubitali sui manifesti con le foto dei protagonisti i cui nomi è superfluo citare talmente noti. «Va bene tutto, ma non sporcateci il nome della nostra Avetrana», dicono gli uomini in piazza invocando un diritto che, in verità, hanno già irrimediabilmente perso gli abitanti di altri luoghi prima di loro legati indissolubilmente a precedenti «delitti eccellenti». Come Cogne, Erba, Brembate di Sopra o la recentissima strage della famiglia Gleboni, in Sardegna, che la spietata sintesi giornalista e la necessità di chiudere tutto in un titolo, indicherà per sempre come «la strage di Nuoro».
Il sindaco e i cittadini
Il sindaco Antonio Iazzi si è già espresso sulla contrarietà a quel titolo minacciando azioni legali per farlo rimuovere. La pensa così anche il suo assessore Emanuele Micelli che ai tempi della tragedia Scazzi era presidente della Proloco.
«Vedere così in grande sul manifesto il nome di Avetrana fa male, molto male. Rimango sconcertato della scelta fatta dalla produzione senza tener conto minimamente del danno che può procurare sull’economia locale e sui cittadini avetranesi».Fortunata Barilaro è un’infermiera di origine romana che per lavoro si è trasferita con il marito proprio nell’anno del delitto Scazzi. «Oggi provo rabbia, disgusto, sgomento alla notizia che si terrà una serie televisiva su una vicenda macabra e dolorosa; viene definita “la spettacolarizzazione del dolore”, ma io preferisco dire che è il voyeurismo degli avvoltoi. Avetrana non merita questo», sentenzia Fortunata. La definisce invece «pornografia del dolore», Pierfrancesco Galati, docente di musica e scrittore che si ferma volentieri a commentare e non si frena davanti al taccuino e alla macchina fotografica. «Ancora una volta il feticismo della sofferenza e della morte viene scambiata per diritto di fare cronaca, stavolta attraverso un film». Per il maestro «non si può etichettare un paese che tra mille difetti e pregi cerca di riprendere la sua serenità dopo anni e anni di sovraesposizione mediatica». All’avvocato avetranese Antonio Dostuni intriga molto l’aspetto giuridico della diatriba sul nome. «La tutela del diritto al nome, che vale per le persone fisiche, è stata estesa dalla Cassazione alle persone giuridiche. Il comune è una persona giuridica e quindi si potrebbe ipotizzare una estensione della tutela anche a favore dei comuni», suggerisce l’avvocato. È un invito alla riflessione, invece, il parere del giovane Salvatore Luigi Baldari che preferisce l’altra faccia della medaglia. «Ciò che mi sorprende – dice - è aver saputo che questo film non è stato girato ad Avetrana. Evitare di chiamare in tribunale la Disney potrebbe essere un buon inizio, strappando magari alla produzione la possibilità di girare ad Avetrana un futuro lavoro, naturalmente con altri contenuti. Potrebbe essere un modo per compensare lo shock, condivisibile, di questo episodio». Lapidario, infine, il commento di uno dei protagonisti di quella orribile vicenda, il comandante della caserma dei carabinieri Fabrizio Viva che, lasciata la divisa e tornato nella sua città natale, non dimentica la «sua» Avetrana. «Sono stanco di ascoltare per anni sempre le stesse cose e dopo 31 anni vissuti ad Avetrana posso solo dirti che è un bel paese abitato da persone molto semplici e dall’animo buono. Il film? Non penso che lo guarderò».
Nazareno Dinoi su Quotidiano di Puglia
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1 commento
Dino Conta
dom 29 settembre 08:47 rispondi a Dino ContaIo non trovo nulla di strano... anche su Alfredino (il bambino che cadde nel pozzo) fecero una serie tv quindi 🤷♂️