Mentre la chiesa madre conteneva a fatica la folla che era riuscita a trovare posto, fuori altrettanti savesi attendevano la fine dell’omelia mentre il cielo, scuro come i cuori di tutti, lasciava cadere di tanto in tanto una leggerissima pioggia che passava quasi inosservata.
In prima fila tra i banchi erano seduti i parenti più stretti dei tre defunti, Salvatore Bisci con la moglie Nella Pesare e l’anziano padre di lei, Damiano. Il figlio della coppia, Alessandro, di 11 anni, è stato accompagnato in chiesa solo per uno straziante e breve saluto prima che iniziasse la cerimonia funebre e portato via quando nella chiesa cominciavano ad entrare le prime persone. Tra i familiari in lacrime c’era anche il figlio maggiore dell’appuntato dei carabinieri Raffaele Pesare, l'autore del triplice omicidio prima di tentare a sua volta di togliersi la vita riuscendo solo a ferirsi al volto.
L’omelia è stata officiata dal vescovo di Oria, sua eccellenza Vincenzo Pisanello e da don Fernando Mancino, parroco della chiesa matrice. Cera anche il sindaco di Sava, Dario Iaia e i comandanti della stazione dei carabinieri di Sava e della compagnia di Manduria.
Fuori, tutto intorno all’ampia Piazza San Giovanni, dove il portone spalancato della chiesa portava fuori i canti sacri e il profumo dell’incenso, l’attività dei negozi era ferma. Rispettando il lutto cittadino deciso per quel giorno dalla pubblica amministrazione, anche il commercio degli esercizi distanti dalla piazza avevano le serrande chiuse per metà. L’innaturale silenzio di quell’affollato centro di paese, era rotto dall’innocente vociare di un gruppo di ragazzini impazienti di accendere le lanterne bianche da far volare in cielo all’uscita delle bare; una scenografia poi fallita un po’ per la pioggia, un po’ per la poca esperienza di quelle innocenti mani.
Il pubblico in attesa, raccolto in gruppi, era la cronaca vivente della tragedia. Tutti avevano qualcosa da dire, bastava soffermarsi e fare qualche domanda per trovare tutti preparati sull’argomento del giorno. La pazzia era la parola più usata, poi veniva quella della condanna senza appello per l’autore di quell’immane tragedia resa più odiosa e insopportabile dal movente che l’aveva generata. «Ora quelle olive non le avrà né lui e né nessuno», commentava un anziano signore che alla domanda di quanto mai fosse grande quell’uliveto conteso tra i due cognati, rispondeva sgranando gli occhi: «solo quello? Non sapevano neanche loro quante terre avevano». Alla fine di ogni discorso, poi, c’era «la criatura rimasta sola», il piccolo Alessandro, figlio della coppia a cui ieri è stato risparmiato il breve corteo delle tre bare che dalla chiesa sono state portate a spalla davanti casa dei Bisci dove hanno sostato pochi minuti prima di essere caricate nelle macchine dirette al camposanto.
Sempre nell’attesa, la gente si sforzava a trovare un precedente come quello della strage di sabato 18 novembre. Nessuno ne ricordava uno simile. A parlare erano i più anziani che si sforzavano di riesumare i fatti di sangue che avevano scosso la piccola comunità. «Di morti ammazzati Sava ne ricorda tanti, ma tutti erano delinquenti che si ammazzava tra loro, questo è proprio diverso», faceva notare un pensionato facendo i nomi dei delitti della sanguinosa guerra di mala tra degli anni Ottanta e Novanta. Era il periodo della lotta per il controllo del territorio tra esponenti della sacra corona unita del brindisino e la ‘ndrangheta calabrese infiltrata nei clan del tarantino. Quello più ricordato era il nome di Paolo Cantarone, pregiudicato savese, affiliato al clan tarantino dei Modeo. Nel 1991 fu raggiunto dai killer all’interno del bar Pedro, distante cinquanta metri dalla chiesa dei funerali di ieri, dove fu ucciso mentre giocava a flipper. Poi altri delitti di mala con le morti dei savesi Angelo De Paolis, Raffaele Malandrino, Fernando De Muro. La conclusione era: «Ma quelli te li aspetti e alla fine te li dimentichi, questo invece resterà per sempre nella mente perché è stato diverso e perché erano tutte brave persone, anche il carabiniere che ha sparato». L’altra grande ferita che nessuno ha dimenticato a Sava e che la folla dei funerali di ieri ricordava, è quella della morte della giovanissima Chiara Summonte, un’altra innocente savese sgozzata nel 1999 dal suo ex fidanzato che non voleva perderla. «E’ vero, povera ragazza, ma oggi i morti sono tre», si concludeva.
Nazareno Dinoi
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