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Ci troviamo ad affrontare la più grave crisi migratoria dal secondo dopoguerra a oggi, un esercito inarrestabile di invisibili arriva in Europa attraversando il Mediterraneo con imbarcazioni di fortuna: trovando un varco alle frontiere, marciando lungo i binari dei treni e le autostrade, sfuggono alle guerre, alla fame, all’instabilità politica, cercano un rifugio, un lavoro. Per evitare l’instabilità molti stati europei alzano muri e barricate introducendo i controlli ai confini, il trattato di Schengen vacilla pericolosamente, la risposta dell’Europa è nella firma dell’accordo con la Turchia per chiudere la rotta balcanica e impedire ai profughi di raggiungere i paesi del Nord Europa. Il risultato di questa risposta difensiva è che ad oggi l’unico varco percorribile è quello mediterraneo dalla Libia all’Italia, diventando, assieme alla Grecia, l’unico approdo possibile. È quindi urgente e necessario ripensare i criteri, l’impianto e l’organizzazione dell’accoglienza per affrontare l’ondata migratoria. In Italia, ad oggi i migranti sono accolti nei centri di primo soccorso e accoglienza (Cpsa), dove ricevono le prime cure mediche, vengono foto-segnalati e possono richiedere la protezione internazionale. Altre soluzioni sono i centri di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) o i centri di identificazione ed espulsione (Cie), dove sono trattenuti i migranti giunti in modo irregolare che non fanno richiesta di protezione internazionale o non ne hanno i requisiti, per un tempo funzionale alle procedure di identificazione e a quelle successive di espulsione e rimpatrio. In tutti i casi, si tratta di edifici-contenitori, concepiti secondo una logica perennemente emergenziale: in questi centri, allestiti in modo approssimativo, difformi tra loro per gestione e funzioni, ricavati da fabbriche, caserme, capannoni industriali dismessi, non c’è traccia di progettualità dello spazio. Per molti migranti – regolari e irregolari – la prima (e spesso l’unica) opportunità di lavoro, dopo essere arrivati in Italia, è il bracciantato agricolo, in condizioni di sfruttamento ripetutamente denunciate e inascoltate. Raccolgono arance, mandarini, uva, kiwi, contribuiscono al Pil nazionale, permettono all’Italia di esportare pomodori nella misura del 50% dell’intera produzione dell’Unione europea; nonostante questo vivono per mesi in uno stato di costante emergenza abitativa in ricoveri di fortuna: casolari fatiscenti, baraccopoli, tendopoli sono la regola. Perché non si può andare oltre questo surreale paesaggio che rende definitiva e strutturale una condizione che dovrebbe essere al massimo provvisoria ed episodica? Un paesaggio che prevede tende della protezione civile, recinti, muri, filo spinato, dove si vive in modo contrario al decoro, dove si viola la dignità dell’individuo? Perché non si può immaginare una strategia progettuale per dare accoglienza ai migranti, senza che l’estetica prevalente ricordi quella dei lager? Può, l’Italia dell’Expo Milano 2015, del made in Italy agroalimentare, consentire che i lavoratori della terra che contribuiscono al suo successo nel mondo, operino e vivano in luoghi dove è bandita la compassione? Come si è arrivati ad accettare, ad inserire nel panorama fisico e mentale della modernità un simile degrado del valore morale e sociale della persona umana e del lavoro? Intervenire su questi temi con la propria capacità progettuale e politica dovrebbe costituire per gli architetti un fronte di impegno, indicando soluzioni compatibili con lo stato di necessità, garantendo, con l’architettura, il decoro e la dignità della persona. Ha provato a dare una prima risposta a questi temi il Workshop “Architecture & Refugees”, che si è svolto a Roma nel febbraio scorso, promosso da Domizia Mandolesi e Alessandra De Cesaris, responsabili di HousingLab - DiAP, e dalla Facoltà di Architettura della Sapienza Università di Roma, con Emergency Architecture & Human Rights, Denmark e la partecipazione dei docenti Jorge Lobos e Jørgen Eskemose Andersen della Royal Danish Academy of Copenhagen KADK. Attraverso sondaggi progettuali, il workshop ha provato a costruire un progetto pragmatico, che trasformi il dramma in opportunità, proponendosi di dare un contributo di idee alle istituzioni, a partire dalla riflessione sul ruolo che l’architetto può assumere di fronte all’emergenza immigrazione, individuando soluzioni abitative che favoriscano l’accoglienza e l’integrazione nelle città italiane. Lampedusa, Augusta, Sassari, Manduria, Roma, sono alcuni dei casi presi in esame per cercare di rispondere con il progetto alla riduzione e alla soluzione degli inevitabili conflitti. I risultati raggiunti costituiscono un interessante punto di partenza per un percorso di ricerca che sulla base delle strategie ipotizzate potrà proseguire in un serrato confronto con gli operatori sociali del settore e le amministrazioni coinvolte, a partire dalle indicazioni legislative vigenti in materia di accoglienza in Italia, ma anche passando al vaglio e proponendo soluzioni alternative capaci di orientare tali provvedimenti. Nel workshop sono stati individuati tre temi di lavoro e relative proposte con soluzioni declinate in 5 differenti localizzazioni. In Puglia, il progetto “Campo senza confini | Over the border” si inserisce nell’area periurbana di Manduria; a circa quattro chilometri dal centro urbano è presente un campo C.A.R.A. dove sono ospitati i rifugiati richiedenti asilo che, secondo il D.Lgs 18 agosto 2015 n. 142 art. 22, trascorsi i sessanta giorni dalla richiesta hanno la possibilità di uscire per lavorare facendo ritorno al campo a fine giornata. Il progetto propone due possibilità di intervento: una destinata a coloro che sono in possesso del permesso di soggiorno e hanno necessità di un lavoro per poter cominciare una nuova vita e l’altra per quanti sono ancora in attesa del permesso. La vocazione agricola del territorio pugliese favorisce la possibilità di impiegare gli immigrati come lavoratori stagionali nei campi agricoli: un insieme di “Campi senza confini” che si inseriscono nei tessuti urbani e possono diventare di fatto un’ opportunità anche per gli stessi residenti del posto. In Puglia a Manduria è anche il progetto “Io campo”, che proprio a partire dal concetto di accoglienza individua la strategia progettuale. Questa è basata su alcuni principi fondamentali: il lavoro come valore fondativo del processo di restituzione di dignità e autonomia insediativa e culturale agli ospiti; il riuso delle strutture di - smesse o inutilizzate nel centro urbano come opportunità per Manduria; l’integrazione tra popolazione locale e immigrati attraverso scambio di beni, attività, servizi, culture; la reversibilità dell’intervento sul paesaggio che, una volta riassorbita l’emergenza, può essere restituito all’ecosistema naturale. L’area di intervento viene pertanto interpretata come una cerniera strategica all’interno di un sistema di centri urbani, Manduria e Oria in particolare, attestandosi su un percorso ciclo-pedonale lungo il quale sono distribuiti i servizi per la collettività. Progetto “Io Campo”, Manduria, Puglia Gruppo di lavoro: Federica Batta, Marika Maione, Carlotta Mariani, Simona Pompili, Joseph Alan Valia Tutor: Matteo Baldissara, Mickeal Milocco Il masterplan è composto da un sistema di servizi in prossimità della strada provinciale, che si relazionano con le masserie esistenti. Queste vengono riutilizzate per accogliere piccole attività commerciali, spazi di coworking, un deposito agricolo, aule polifunzionali, e favorire lo scambio culturale e l’apprendimento. I servizi di accoglienza residenziale si sviluppano su 4 spine ortogonali rispetto all’asse stradale e sono composte dall’unione di più moduli di 6x6 metri. LE IMMAGINI
Progetto “ Campo senza confini”, Manduria, Puglia Gruppo di lavoro: Yoko Cialoni, Paolo Coppola, Nerima Hasanefendic, Michele Iorio, Naima Mainfrè Tutor: Federica Amore, Erika Maresca Il progetto prevede due tipi di accoglienza: una destinata a chi ancora non è in possesso del permesso di soggiorno e una per chi l’ha ottenuto e necessita di un luogo nel quale risiedere e costruire una nuova vita. La vocazione agricola del territorio pugliese ha suggerito la possibilità di occupare gli immigrati in lavori stagionali nei campi e l’adozione di due strategie, una basata sulla salvaguardia e valorizzazione del paesaggio rurale; l’altra volta a caratterizzare l’ambito periurbano. Si è quindi scelto di intervenire con opere permanenti nelle aree interstiziali dei margini urbani e con interventi effimeri nella campagna, al fine di non innescare nuovi fenomeni di espansione massiccia. LE IMMAGINI
Eleonora Carrano, L’industria delle costruzioniA cura di Antonio Dinoi
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1 commento
Carlo.
dom 21 maggio 2017 11:41 rispondi a Carlo.--------- Mentre qualcuno fa progetti sulla carta, consiglierei a chi ha casa a mare o da qualche altra parte, chiusa, di tenerla costantemente d'occhio, sembra che cominci anche qui da noi la moda di aprirle, cambiare le serrature e abitarle