«Canale terminale» è il libro sulle morti per Covid dell'ospedale Moscati di Taranto. È la storia di quei decessi di cui non si è saputo niente, nemmeno il numero esatto, noto solo a chi è rimasto in vita lacerato dal dolore e dai troppi perché. L'autrice è una di questi. Si chiama Eleonora Coletta, avvocato pubblico, prima alle dipendenze della Asl di Taranto, ora dell'Inail. A spingerla a scrivere per l'editore Cantagalli il libro-inchiesta è stato il dolore per aver perso in pochi giorni, in quel girone infernale, suo marito e suo padre. Il solo dolore non sarebbe forse bastato a esporsi tanto, perché a torturarle l'anima è anche il rimorso per essere stata lei a contagiarli entrambi. Lei che era stata tra i primi a vaccinarsi contro il virus quando presentava già i sintomi dell'infezione.
Prima tappa di quell'incredibile e interminabile serie di leggerezze di un sistema sanitario di cui lei stessa faceva parte. E dalla quale ha avuto morti e sofferenze e finanche denunce per diffamazione. L'opera è il racconto di quello che non è mai stato scritto di quei giorni quando le ambulanze formavano le code all'ingresso dei reparti Covid ricavati in ambienti destinati ad altro.
Niente di romanzato, tutta verità con riscontri oggettivi, documenti inediti, cartelle cliniche, consulenze e testimonianze drammatiche di altre famiglie di tanti uomini, donne, mariti, mogli, papà, mamme, figli, finiti in quel «Canale terminale» che ha dato il titolo al libro di Coletta, termine usato dall'allora direttore generale della Asl per definire la Rianimazione Covid del Moscati da dove nessuno tornava indietro. «Per due anni abbiamo chiesto la verità su quello che è realmente accaduto, perché il dolore merita rispetto, ed invece abbiamo ricevuto cartelle cliniche scarne, prive di documenti, denunce per diffamazione», si sfoga l'autrice che con altri familiari ha costituito il comitato "Verità e giustizia vittime Covid Moscati".
Leggere quelle pagine fa male ma è un dolore necessario perché raccontano quello che nella sanità a volte si preferisce nascondere creando lacerazioni insanabili in chi per tutta la vita si chiederà se si poteva fare diversamente, ricevendo silenzi. «Canale terminale» non lascerà indifferenti i magistrati, inquirenti e giudicanti, che devono ancora dare risposte a quei lutti.
Nazareno Dinoi su Quotidiano
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