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TARANTO — I fratelli Scarci, Francesco, Giuseppe e Andrea, arrestati ieri con altri otto loro affiliati, aveva tentato il salto di qualità con la scalata del «Taranto calcio». L'affare saltò per il netto rifiuto del presidente della società che milita nella Prima divisione. I particolari del tentativo di trattativa sono contenuti nelle 69 pagine dell'ordinanza di custodia cautelare in carcere per 12 elementi del clan (uno è tuttora latitante) firmata dal gip di Lecce, Antonia Martalò, su richiesta del sostituto procuratore della Repubblica Lino Giorgio Bruno della Direzione distrettuale antimafia salentina. «Ma lei sarebbe disposto a vendere il cinquanta per cento del Taranto? È interessato ad altri soci?», fu l'esplicita richiesta che il capoclan, Franco Scarci, rivolse all'imprenditore Bartolomeo Vincenzo D'Addario, patron della società rossoblu che rispose: «Assolutamente no! Ho cinque figli e sono loro i miei collaboratori e soci». Nelle stesse carte della procura antimafia c'è il commento e le preoccupazioni di D'Addario: «Ricordo che commentai con mio figlio e i collaboratori la richiesta formulata dallo Scarci dicendo "che a quel punto avrei mollato tutto"». Quel rifiuto gli costò una macchina del valore di 51mila euro, una Range Rover, che un parente del boss ritirò dalla concessionaria dello stesso gruppo D'Addario con un contratto molto singolare: «Pagamento con rimessa diretta a dodici mesi dalla fattura». Naturalmente non fu mai saldata. È solo uno dei comportamenti criminali contestati ai fratelli Scarci il cui potenziale economico, frutto del traffico internazionale di droga e delle estorsioni, veniva riciclato nel mercato ittico tarantino, «drogato» dalle regole e dai prezzi imposti dal clan proprietario di diverse società del settore. «Le intimidazioni, le minacce e le violenze condotte con modalità mafiose - si legge nel dispositivo - permettevano di incidere sui meccanismi di libera concorrenza della vendita del pesce, viziando il rapporto commerciale tra i pescatori, commercianti all'ingrosso e ristoratori». Gli affari si estendevano anche nel calcio con la gestione dei bar interni allo stadio Jacovone di Taranto e nel settore turistico con un lido attrezzato nel Materano. Lunghissima la lista dei reati contestati ai 12 esponenti del sodalizio che vanno dall'associazione per delinquere di stampo mafioso, all'estorsione, usura, pesca di frodo. L'operazione denominata Octopus è stata illustrata ieri dal procuratore antimafia, Cataldo Motta, dal pm Lino Bruno, dal questore, Enzo Mangini e dal capo della squadra mobile della questura, Fabio Abis. Oltre ai fratelli Scarci sono finiti in carcere Maurizio Petracca, Salvatore Viviano, Piero Motolese, Giuseppe Caligine, Nicola Sibilla, Salvatore Scarci, Giovanni Pernisco e Luciano Scarci. Altre sette persone sono indagate in stato di libertà.
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