E’ costato quasi sette anni di processi ad una manduriana di 55 anni l’errore di raccogliere un telefono smartphone privo di cover e di batteria che aveva trovato vicino a un cestito di rifiuti e di utilizzarlo inserirendo la propria sim. Non sapeva che sul quel telefono era stata presentata la denuncia di furto così, a ottobre del 2017, sono cominciati i suoi guai con una convocazione in polizia.
Il proprietario del cellulare, all’epoca dei fatti ancor minorenne, aveva dichiarato che qualcuno lo aveva rubato mentre si trovava in un locale pubblico di Manduria. In seguito il ragazzo aveva confessato al padre che lo smartphone non gli era stato rubato ma lo aveva perduto per strada e che la prima bugia l’aveva detta per paura di essere sgridato. Nel frattempo, però, era partita la denuncia e le indagini della polizia che, con lo studio dei tabulati, erano riusciti ad individuare chi lo stesse utilizzando. La 55enne si era giustificata dicendo che lo aveva trovato per terra. Non creduta è poi finita sotto processo con l’accusa di ricettazione.
Fortunatamente per lei, nel corso del dibattimento, il suo difensore, avvocato Daniele Capogrosso, ha fatto notare alla giudice che il telefonino non aveva foto o altri nomi in memoria che aiutassero la donna ad identificare il proprietario e che le condizioni e il luogo dove lo aveva trovate l’avevano convinta che fosse stato buttato di proposito.
Il Tribunale accoglieva quindi la tesi difensiva sostenendo che nell'imputata non vi era stata la coscienza e volontà nè della provenienza delittuosa del bene nè dell'illiceità dell'impossessamento dello stesso dal momento che appariva come un oggetto abbandonato tra i rifiuti. Veniva, infine, ritenuta sussistente la perfetta buona fede che ha accompagnato la condotta dell'imputata. Per tali ragioni, il Tribunale di Taranto ha assolto l'imputata perchè il fatto non sussiste.
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