Massimo Cinieri non è stato il mandante dell’omicidio dell’imprenditore Gaetano Fina ucciso 35 anni fa a San Giorgio Ionico. Si è chiuso così il processo che vedeva alla sbarra il 56enne manduriano già a capo negli anni Ottanta della frangia manduriana della sacra corona unita. Ieri la giudice del Tribunale di Lecce, Giulia Proto, ha assolto il 56enne manduriano «per non aver commesso il fatto». Difeso dagli avvocati Nicola Marseglia e Cosimo Romano, «Massimino molletta», così come era conosciuto l’ex boss prima di diventare pentito di mafia, rischiava quattordici anni di reclusione, tanti quanto richiesti dal procuratore aggiunto della direzione distrettuale di Lecce, Guglielmo Cataldi.
Cinieri all’epoca del suo pentimento aveva già confessato di essere l’autore dell’omicidio per il quale, dopo 35 anni da quel delitto, era stato rinviato a giudizio con l’accusa di essere stato il mandante di quello stesso crimine. A fa riaprire il vecchio caso è stato il procuratore aggiunto Cataldi, lo stesso che nel 2001 raccolse le prime dichiarazioni di corresponsabilità di “molletta”, da allora sottoposto ad un programma di protezione riservato ai pentiti di mafia.
L’esecuzione per la quale è stato chiamato a rispondere Cinieri in qualità di mandante, avrebbe avuto origine dagli interessi su alcuni grossi appalti da parte della criminalità organizzata che all’epoca dominava su tutto il territorio tarantino. La vittima era titolare di una ditta di scavi e movimento terra che, secondo la ricostruzione dell’epoca, avrebbe pagato con la vita l’aver messo le mani su alcuni lavori che interessavano ad amici del clan dominante su quel territorio di San Giorgio Ionico.
Secondo la ricostruzione del delitto, fatta dai carabinieri della compagnia di Martina Franca, poco dopo le tredici dell’11 luglio del 1989, in una strada in pieno centro urbano di San Giorgio Ionico, una Fiat Uno di colore blu con a bordo due persone si avvicinò all’auto guidata dall’imprenditore Fina. Uno dei due killer scese dalla macchina e freddò la vittima esplodendogli contro quattro colpi di pistola calibro 38 a canna lunga, poi salì sull’auto che si allontanò in direzione Monteiasi.
Nelle confessioni fiume risalenti al suo pentimento, Cinieri ammise anche questo delitto e alla domanda del pubblico ministero Cataldi sul motivo, “Massimino” rispose: «per problemi di appalti».
La prima conferma sull’appartenenza di Cinieri alla sacra corona unita con il ruolo di «luogotenente» per la zona di Manduria, Sava ed altri centri della fascia orientale di Taranto, risale al 5 giugno del 1995 quando i carabinieri di Francavilla Fontana vennero in possesso di una «sfoglia» (pizzino) che autorizzava il destinatario a «farsi un movimento di Santa» (rito di affiliazione alla scu), inserendo tra i mittenti i nomi di Pino Rogoli, Massimo Cinieri, Massimo Pasimeni e Antonio Vitale. Cinieri è stato “figlioccio” di Vincenzo Stranieri, l’ex boss fondatore con Pino Rogoli della Scu, prima di dissociarsi per fondare un proprio clan collegato con la mala tarantina.
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