«Se non ci fosse stato il trapianto, io non sarei qui a raccontare la mia storia». All’ospedale Giannuzzi di Manduria, Alessandra Nigro, 49 anni, celebra un traguardo straordinario: dieci anni dal suo secondo trapianto di fegato. La sua è una storia di resistenza e speranza, che ha inizio a soli 13 anni, quando una cirrosi fulminante le lasciava appena tre giorni di vita portando alla diagnosi di una rara malattia genetica, la sindrome di Wilson.
«Ricordo il primo ricovero a Bologna: ero terrorizzata, ma troppo piccola per capire davvero quello che mi stava accadendo», racconta Alessandra dal corridoio del Giannuzzi, dove nel 2014 sarà poi ricoverata in attesa del secondo trapianto. Nel frattempo, la sua vita prosegue con un primo trapianto di fegato a Milano nel 1998, un matrimonio, due figli e, purtroppo, il ritorno della cirrosi.
«Mi sono ritrovata di nuovo in lista d’attesa nel 2014: avevo 35 anni e una famiglia. Non ero più una bambina incosciente, ma una madre e moglie. Ho avuto molta paura», spiega. Durante il mese di ricovero al Giannuzzi, in attesa della chiamata da Milano, ha trovato conforto nell’amicizia con Patrizia, un’operatrice socio-sanitaria. Insieme, hanno iniziato a realizzare bambole di pezza, che per l'allora 35enne sono diventate un simbolo di speranza.«Quelle bamboline erano il mio rifugio dalla paura e dall’incertezza. Non ho più smesso di realizzarle, e ogni anno, il primo dicembre, giorno del mio trapianto, ne porto una in ospedale», racconta la donna indossando la pettorina dell’Aido, l’associazione che promuove la donazione degli organi.
«Donare significa regalare un altro compleanno, un altro anniversario, un altro momento di felicità con la propria famiglia», conclude lei ricordando quanto la donazione possa davvero salvare vite e dare nuove speranze a chi ne ha bisogno.
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